Ultimo aggiornamento 30.04.2025 - 18:13

Con il decreto del 28 luglio 2022, il Ministro dell’Interno ha ulteriormente prorogato il termine per l’approvazione dei bilanci di previsione degli enti locali al 31 agosto p.v.
Il provvedimento esplicita altresì, l’autorizzazione all’esercizio provvisorio per gli enti che non abbiano già provveduto all’approvazione del bilancio fino al nuovo termine.

La proroga è di carattere generale e coinvolge anche i termini per l’approvazione o la modifica delle delibere relative alle entrate, che potranno essere eventualmente adottate entro il nuovo termine da tutti i Comuni, apportando modifiche e integrazioni, nonché istituendo nuovi tributi previsti dall’ordinamento e finora non applicati.

Sugli effetti della proroga in materia di entrate e sulle modalità delle conseguenti variazioni di bilancio si rimanda alla nota IFEL del 30 giugno scorso, relativa alla precedente proroga.

Ulteriore effetto della proroga del termine per l approvazione del bilancio di previsione è lo slittamento al 31 dicembre p.v. (120 giorni successivi) del termine per l’approvazione del PIAO, in base all’articolo 8 comma 3 del DM 24 giugno 2022.

Meno chiara è, alla luce di questa ulteriore proroga, la disciplina per la verifica della salvaguardia degli equilibri e dell’assestamento generale del bilancio di previsione, i cui termini sono fissati per legge al 31 luglio (rispettivamente, artt. 193 e 175 TUEL).

Nel caso di coincidenza temporale dei termini dovuto alla proroga in precedenza vigente (31 luglio), sulla base di precedenti recepiti dalla Commissione Arconet (faq n. 8 del 20 luglio 2015), è acclarata, per gli enti che approvano il bilancio di previsione nel corso del mese di scadenza, la possibilità di attestare la salvaguardia degli equilibri di bilancio attraverso la stessa delibera di approvazione del bilancio, ritenendo in questi casi superflua una verifica ulteriore e disgiunta della salvaguardia degli equilibri (cfr. nota IFEL del 26 luglio scorso).

Si deve ritenere, in primo luogo, che questa disciplina resti valida per tutti gli enti che approvino il bilancio entro il 31 luglio p.v.

È poi ragionevole pensare che la stessa condizione possa valere anche per gli enti che si avvarranno della proroga ulteriore al 31 agosto, considerando che la disciplina dell’esercizio provvisorio già contiene limiti alla gestione, improntati a criteri prudenziali nell’utilizzo delle risorse correnti. Tuttavia, il carattere legislativo dei termini previsti dal TUEL per gli adempimenti di salvaguardia e assestamento rende auspicabile un chiarimento ufficiale, così da evitare effetti di messa in mora per gli enti che non avessero provveduto ad adempimenti tipici della gestione ordinaria entro il 31 luglio, essendo in ritardo sulle previsioni 2022-24.

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Il 27 luglio u.s è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il DM 13 aprile 2022 n.101, recante il nuovo regolamento per l'iscrizione all'Albo dei soggetti “riscossori” e dei soggetti che effettuano esclusivamente attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione.

Tale regolamento dà attuazione a quanto previsto dal comma 805 della legge di bilancio 2020 ai sensi del quale con decreto del MEF, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabilite le disposizioni generali in ordine alla definizione dei criteri di iscrizione obbligatoria in sezione separata dell'Albo per i soggetti che svolgono esclusivamente le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle società da essi partecipate.

Il DM in questione non si limita, tuttavia, a dare mera attuazione al richiamato comma 805, ma estende la sua portata ad una più complessiva opera di revisione della normativa regolamentare di settore, sostituendo sia il DM 11 settembre 2000, n. 289, relativo all’Albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei Comuni, sia il DM 9 marzo 2000, n. 89, recante norme relative alla commissione per la gestione dell’Albo.

Il nuovo DM è articolato in tre Capi, di cui il primo rubricato “Albo dei soggetti abilitati ad effettuare le attività di accertamento e di riscossione dei tributi e delle altre entrate degli enti locali”, il secondo relativo alla disciplina concernente la “Commissione per la gestione dell’Albo” ed il terzo recante le “Disposizioni finali”.

In particolare, il primo Capo riforma la disciplina dell’Albo chiarendo che lo stesso si compone di due sezioni, la prima destinata ai soggetti che effettuano le attività di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali, la seconda prevista per i soggetti che svolgono esclusivamente le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate stesse, ivi comprese quelle riguardanti le società partecipate dagli enti locali.

Il Capo primo definisce pertanto destinatari, obblighi e requisiti (tecnici e finanziari, anche alla luce delle nuove misure minime di capitale) per l’iscrizione all’Albo, nonché le cause di cancellazione, decadenza o sospensione dallo stesso.

Con riferimento alle misure minime di capitale, il DM si limita ovviamente a richiamare le previsioni dettate dal comma 807 della legge di bilancio 2020 e da ultimo modificate dal comma 1092 della successiva legge di bilancio del 2021(1).
Per quanto attiene, invece, ai tempi per provvedere all’ eventuale adeguamento dei requisiti finanziari, occorre richiamare quanto disposto dal comma 808 della 160/2019 che dispone che: "I soggetti iscritti alla sezione separata di cui al comma 805 e quelli iscritti all'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997 devono adeguare alle condizioni e alle misure minime di cui al comma 807 il proprio capitale sociale entro il 31 dicembre 2024".

Nello stesso Capo primo sono poi dettate anche le disposizioni concernenti gli adempimenti che i soggetti iscritti all’Albo devono porre in essere ai fini della revisione annuale per la verifica della permanenza dei requisiti per l’iscrizione all’Albo. Tra questi, si segnala l’obbligo di far pervenire alla Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del MEF la relazione sulla gestione dell’attività svolta, inviata all’ente affidante entro il bimestre successivo alla chiusura dell’esercizio finanziario e redatta sulla base di uno schema che verrà approvato con decreto del Direttore delle finanze entro 6 mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del regolamento in questione (dunque entro il 27 gennaio 2023).

Il secondo Capo detta la disciplina concernente le competenze, la composizione ed il funzionamento della Commissione per la gestione dell’Albo.

Il terzo Capo, infine, abroga le precedenti disposizioni che regolano l’Albo e la Commissione e fissa l’entrata in vigore del presente regolamento al quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (pertanto l’11 agosto 2022).

(1) Legge di bilancio 2020, art. 1, comma 807 e smi:
807. Per l'iscrizione nell'albo di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997, o nella sezione separata del medesimo albo, prevista al comma 805, sono richieste le seguenti misure minime di capitale interamente versato in denaro o tramite polizza assicurativa o fideiussione bancaria:
a) 2.500.000 euro per l'effettuazione, anche disgiuntamente, delle attività di accertamento dei tributi e di quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate nei comuni con popolazione fino a 200.000 abitanti;
b) 5 milioni di euro per l'effettuazione, anche disgiuntamente, delle attività di accertamento dei tributi e di quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate nelle province e nei comuni con popolazione superiore a 200.000 abitanti;
b-bis) 150.000 euro per lo svolgimento delle funzioni e delle attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali, nei comuni con popolazione fino a 100.000 abitanti;
c) 500.000 euro per lo svolgimento delle funzioni e delle attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali, nei comuni con popolazione superiore a 100.000 e fino a 200.000 abitanti;
d) un milione di euro per lo svolgimento delle funzioni e delle attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali, nelle province e nei comuni con popolazione superiore a 200.000 abitanti.

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Dialogo con Vitandrea Marzano, Dirigente dello staff del Sindaco del Comune di Bari e Luca Torri, Amministratore Delegato STU Reggiane Parco dell’Innovazione e della Ricerca del Comune di Reggio Emilia

 

La logica utilizzata dai Comuni per pensare e realizzare le loro attività e funzioni è sempre meno autoreferenziale, grazie a tante forme di compartecipazione e partenariati incentivati anche da recenti normative. Il confronto con diversi portatori di interesse, nei diversi momenti di ideazione, progettazione e attuazione, consente di avere una lettura più articolata dei bisogni e risposte più efficaci, così come i partenariati pubblico-privati favoriscono il finanziamento e la gestione di servizi e infrastrutture di interesse collettivo che non potrebbero essere realizzati con investimenti esclusivamente pubblici.

Ma quand’è che un progetto pubblico può diventare attrattivo e interessante per altri attori del territorio? Come si possono co-responsabilizzare i partner all’interno di un progetto utile all’intera comunità? E quali sono gli strumenti giuridici da utilizzare per definire questi accordi?

Le normative che si sono succedute in questi anni riguardo le funzioni comunali e l’esercizio delle stesse, hanno alla base riferimenti impliciti a diversi modelli d’azione delle amministrazioni locali: negli anni ’90 l’idea dell’efficacia e della conseguente efficienza ha portato a spingere sulla gestione manageriale degli enti e su forme di gestione di stampo sempre più privatistico e, progressivamente, nel corso degli anni 2000, è andata aumentando l’esigenza dell’efficientamento della macchina pubblica cioè della riduzione della spesa pubblica, con una progressiva dismissione (di investimenti, di competenze, di personale, di staff interni, ecc.) e con esternalizzazioni che oggi mostrano, da tanti punti di vista, i loro lati negativi.

Oggi, in era di PNRR, sembra che si possa, anzi che si debba, recuperare un nuovo equilibrio tra efficacia dell’azione pubblica ed efficienza della stessa: la grande complessità da affrontare e gli oneri che ne conseguono, hanno fatto riportare l’attenzione sull’esercizio della cittadinanza attiva come valore e come produttore di valore, così come è stata recuperata la focalizzazione sul ruolo dell’azione del Comune che deve essere sempre e comunque orientata al bene comune, anche quando la gestione operativa venga affidata a soggetti esterni. Per questo teorie e modelli recenti ripensano all’azione pubblica esercitata dai Comuni (in quanto enti prossimi ai cittadini e ai territori) come ad un’azione ecosistemica e sinergica con gli altri attori-chiave: le imprese, le altre istituzioni, i cittadini, le associazioni, ecc. Per definire questo nuovo orientamento generativo dell’azione amministrativa, possiamo attingere all’idea di amministrazione condivisa proposta nel Codice del Terzo settore, ampliando il ricorso agli strumenti tracciati dal Codice oltre gli attori del Terzo settore e verso tutte le diverse forme di collaborazione e co-creazione che i Comuni e gli altri attori del territorio (istituzionali e non) attivano o possono attivare. Perché è vero che i Comuni svolgono un ruolo-chiave nei processi di cambiamento e di sviluppo dei territori ma, evidentemente, non sono i soli attori responsabili della crescita del territorio e del benessere delle persone, delle comunità e dell’ambiente. Sono diversi, quindi, i portatori di interesse che –a vario titolo- possono intervenire nelle fasi di ideazione, progettazione, attuazione, gestione, valutazione delle politiche e dei servizi.

L’esercizio della cittadinanza e la creazione di valore condiviso (che fa l’interesse anche dei privati profit) è anche questo: interiorizzare e affrontare insieme i cambiamenti del quartiere, degli spazi pubblici e, in generale, della città in cui si vive, si lavora, si studia, si produce, ecc. In questo senso, quindi, le diverse forme di partenariato pubblico-privato e le forme di co-progettazione con gli attori del Terzo settore sono processi che –pur facendo riferimento a due strumenti giuridicamente diversi- rappresentano entrambi interventi concertati e strumenti di condivisione di responsabilità tra Comune e altri attori. Anche la compravendita di alcuni spazi pubblici da parte di attori privati può rientrare in questa idea di amministrazione condivisa se, come spiega Luca Torri nell’intervista, le aziende che acquistano sono in grado di partecipare ad un certo tipo di progetto e aderiscono alla “causa comune”, trovando anche tornaconto adeguato alle loro esigenze.

Il processo di coinvolgimento dei portatori di interesse (siano essi imprese, associazioni o semplici cittadini) va fatto fin dall’avvio del percorso di creazione di visioni comuni: per definire insieme da quali bisogni partire, quali sono gli elementi di contesto da tenere in considerazione, ecc. Questo primo momento di condivisione mitiga il conflitto che può nascere dalle diverse posizioni dei portatori di interesse, riduce l’incertezza di chi viene coinvolto in questi processi e può diventare la vera chiave del successo dell’iniziativa. A una condizione però: che non si violi il patto di fiducia sul quale si basa la possibilità di negoziare le posizioni dei diversi portatori di interesse verso un cambiamento che sia sempre più condiviso.

Alla base di un buon partenariato e di una buona co-progettazione dobbiamo collocare la fiducia che nasce e si consolida attraverso diverse vie:

  • la presenza del Sindaco e degli Assessori, ovvero dei decisori politici “rappresentativi”, nei momenti-chiave di questi processi di condivisione, che devono prevedere anche la partecipazione attiva dei portatori di interesse;
  • per essere credibili è importante “fare esattamente quello che si è detto” perché è fondamentale che non ci siano deviazioni dalla vision e dalla strategia condivisa;
  • rispettare i tempi anche se può essere faticoso: questo è un messaggio di attenzione e affidabilità molto importante;
  • impegnarsi a fare “cose belle” quando si interviene su luoghi, edifici e spazi comuni: curare l’aspetto estetico è molto importante, rispettando criteri e valori che devono guidare una città contemporanea. Anche questo è un messaggio importante di cambiamento, di cura e di presa in carico: “il posto più brutto deve diventare il posto più bello”;
  • far guidare i processi collaborativi da persone che siano insieme competenti, per generare engagement, e autorevoli rispetto alla struttura interna al Comune, per tradurre tutto il lavoro di partecipazione e condivisione in azione amministrativa;
  • coinvolgere i portatori di interesse non solo nella co-progettazione ma anche nella gestione per renderli sempre più responsabili;
  • chiarire i confini e le condizioni degli accordi reciproci.

Il successo di iniziative cogenerative, soprattutto partendo dalla scala minima dei quartieri (come fanno tutte le città medie e grandi), dipende principalmente “dalla capacità di costruire una visione condivisa”. Solo in un secondo momento arrivano gli accordi formali e gli strumenti che saldano i patti che l’amministrazione comunale definisce con i diversi portatori di interesse.

Tutti gli strumenti amministrativi messi in campo per suggellare e mettere in opera una co-progettazione o un partenariato con attori privati, sono strumenti che devono essere scelti all’interno di un programma di lungo periodo e nel rispetto della natura giuridica che hanno gli attori coinvolti: diverso, infatti, è che si tratti di riqualificare grandi immobili, oppure di lavorare sull’engagement giovanile, sul coinvolgimento delle famiglie molto vulnerabili, sull’inclusione di migranti, sulla riqualificazione di piazze e spazi pubblici, sull’emersione della classe universitaria, sulla riconversione economico-commerciale, .. . Ogni obiettivo richiede l’uso di strumenti diversi. L’elenco fatto da Vitandrea Marzano durante l’intervista è esemplare: per i Centri Famiglia che lavorano con le famiglie vulnerabili non si possono usare strumenti come il PPP, che scaricano i rischi della gestione sulle famiglie stesse, quindi in quel caso sono stati utilizzati contratti di gestione di servizi; per affidare la gestione degli immobili a gruppi informali di ragazzi sono stati siglati patti di collaborazione; contratti di PPP con un fondo immobiliare privato sono stati invece utilizzati per la riqualificazione della ex manifattura tabacchi; sono poi state sperimentate forme di cooperazione orizzontale molto leggere che sono i consorzi di quartiere, supportati da grant cioè da forme di microcontribuzione; la sperimentazione dell’incentivazione commerciale con quote di co-finanziamento variabile a seconda delle strade e degli obiettivi di rigenerazione”.

Gli accordi formali preventivi, che cioè sono sottoscritti sulla base di una non meglio definita, negoziata e specificata intenzione, rischiano di essere inconcludenti. E’ di sicuro esperienza troppo diffusa quella che fa proliferare protocolli di intesa che restano un’intenzione e non escono dai cassetti nei quali vengono depositati dopo la sottoscrizione. “Gli accordi che funzionano nascono dopo che il progetto è stato definito e sono chiari i confini degli accordi che poi successivamente ha senso formalizzare”.

Le immagini dei due video di Bari e Reggio Emilia possono aiutare a visualizzare che tipo di valore pubblico e condiviso si produce dall’azione co-progettate e co-realizzate e da buoni partenariati pubblico-privati.

Video Reggio Emilia



 

Video Bari

 

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Dialogo con Roberto Moriondo, Direttore Generale del Comune di Novara e Michele Bertola, Direttore Generale del Comune di Bergamo e Presidente di ANDIGEL

Gli investimenti locali negli ultimi anni sono stati i grandi assenti sui nostri territori, oggi i Comuni hanno a disposizione molte risorse, tecnicamente aggiuntive e straordinarie e orientate a realizzare cambiamenti importanti. I Comuni sono chiamati, sempre di più, a giocare un nuovo ruolo di regia che favorisca la creazione di nuove occasioni, nuove risposte ai bisogni, nuove ricombinazioni degli interessi, con un orientamento generativo e sostenibile per tutto il sistema territoriale. Per farlo, occorre che le opportunità d’investimento siano inserite in una visione di futuro del territorio ed essere integrate in programmi e progetti di medio-lungo periodo. Una prospettiva che guardi soprattutto agli effetti e agli impatti che il complesso di investimenti programmati può generare, affrontando così le sfide dell’innovazione tecnologica e sociale e della transizione verde. Se i Comuni riusciranno a conquistare una loro autonomia di visione strategica, gli investimenti avranno un impatto significativo sui loro territori; diversamente saranno comunque utili ma certo non decisivi per il futuro. 

Se tutto questo è vero, la pubblica amministrazione locale italiana risulta tuttavia ancora condizionata da una stagione recentissima in cui gli amministratori hanno reperito le risorse finanziarie per investimenti rincorrendo bandi e avvisi, spesso non coerenti con gli obiettivi dell’amministrazione comunale e con i bisogni del territorio e della comunità; inoltre, il personale comunale è progressivamente invecchiato e si è depauperato in termini di competenza e know-how, oltre ad essere diminuito di numero.

E se alcuni interventi normativi, come lo sblocco del turn-over nei Comuni e la possibilità di assumere per l’attuazione degli interventi finanziati dal PNRR, hanno dato una boccata d’ossigeno e avviato la spinta al rinnovamento ed all’arricchimento degli organici comunali, la pioggia di bandi del PNRR ha invece accentuato, in alcuni casi, la criticità legata alla partecipazione a bandi non coerenti ai bisogni del territorio e alla strategia di sviluppo del Comune, che si candida ad accedere a risorse finanziarie che rischiano, per questo, di non essere in grado di generare impatti significativi, né interventi sostenibili nel tempo.

Di più: il PNRR è un programma sviluppato “verticalmente” per missioni settoriali (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute) e ha rischiato di produrre un effetto di “spiazzamento” su programmi e/o strategie territoriali integrate, la cui realizzazione richiede investimenti e interventi intersettoriali e che, invece, per intercettare le risorse PNRR, è stato necessario “spacchettare”.

D’altra parte, la fissazione nel Piano di target e milestones contribuisce a introdurre la cultura della valutazione ex ante degli impatti e dei risultati attesi degli interventi in contesti amministrativi dove non erano praticati. Ma soprattutto, PNRR e le altre risorse per investimenti che arriveranno, ad es., dai fondi strutturali europei 2021-2027, consentono al Comune di dare gambe a strategie integrate di sviluppo e ad interventi complessi, come quelli di riqualificazione urbana ad es., che in precedenza erano inattuabili proprio per mancanza di risorse, con il limite di investire nella realizzazione di singole opere e servizi.

Alla luce dell’esigenza di mobilitare risorse straordinarie (tali non solo per quantità, ma soprattutto per gli obiettivi e i risultati attesi), una delle principali condizioni che potrà rendere possibile il cambiamento radicale e significativo nella programmazione e nell’attuazione che ci si attende da parte dei Comuni italiani, è proprio questo cambio di paradigma che vede le amministrazioni comunali logicamente impegnate prima nel disegno di una strategia integrata di sviluppo basata su obiettivi dell’amministrazione e bisogni del territorio e, successivamente, nella partecipazione a bandi o nella ricerca di altre fonti di finanziamento coerenti.

Lo scouting delle risorse finanziarie è servente e successivo alla programmazione strategica e alla progettazione degli interventi che, se rispondenti all’interesse collettivo, sono indipendenti dalla preesistenza di risorse pubbliche per finanziarle; anzi, se prevedono l’attivazione di partenariati pubblico-privati, possono garantire la realizzazione di obiettivi e risultati anche in mancanza o con risorse pubbliche scarse. La scelta di candidarsi all’accesso di risorse pubbliche messe a disposizione da un bando dovrebbe dipendere dalla coerenza e dalla strategicità delle stesse rispetto al piano strategico del Comune e dalla tipologia di investimenti programmati per la sua realizzazione.

Il tema dei finanziamenti di politiche, servizi e progetti è questione complessa che molti Comuni stanno affrontando anche attraverso soluzioni ibride come succede a Novara dove il Comune ha creato un fondo di investimento (che durerà 17 anni), con una quota di capitale istituzionale e in partenariato con i privati, per la riqualificazione di un’opera importante per la città o come a Bergamo dove il Comune ha fatto una scelta organizzativa, istituendo un ufficio ad hoc che si dedica alla ricerca di finanziamenti (principalmente attraverso bandi) che consentano di realizzare molte delle idee già inserite nel programma elettorale e che, in genere, implicano anche il coinvolgimento di privati e di altre istituzioni.

Questa nuova stagione di investimenti pubblici, con disponibilità di risorse straordinarie, può dunque favorire il cambiamento e l’introduzione di elementi innovativi nella P.A. locale, con la possibilità di intervenire in nuovi settori (investimenti integrati in luogo di investimenti puntuali) e nuove progettualità (progetti complessi) ma occorre che i Comuni “investano” a loro volta su alcune pre-condizioni:

  • dotarsi di un piano strategico integrato di investimenti e delle relative progettualità, con visione e obiettivi complessivi di sviluppo: la partecipazione ad un bando dovrebbe dipendere dalla coerenza e strategicità delle risorse messe a disposizione e non dall’esigenza di “non perdere un’occasione”;
  • imparare a governare la città e non solo a far funzionare il Comune. Significa avere uno sguardo attento alla città e la capacità di governare, insieme ad altri attori-chiave come lo sono le altre istituzioni e anche i privati. Il coinvolgimento è prezioso già nella fase di definizione di una strategia complessiva per la città. Imparare, quindi, a tradurre operativamente (e amministrativamente) il paradigma dell’amministrazione condivisa;
  • occorre che si diffonda la cultura della valutazione ex ante: valutazione dei bisogni e degli obiettivi, ma anche degli impatti degli interventi sulla struttura sociale ed economica del Comune, ricercandone la sostenibilità nel tempo e la coerenza con il contesto nel quale si calano. Progettualità di qualità, coerente con obiettivi e bisogni che deve venire prima della ricerca delle risorse finanziarie.
  • centrale è l’investimento (formazione e premialità) sul capitale umano interno recuperando non solo know how ma anche il senso del lavoro pubblico per poter essere attrattivi anche nei confronti delle giovani generazioni che rifuggono l’idea di investire le loro capacità in questi contesti. Il PNRR è un’occasione sia per motivare le risorse interne più preparate al governo della complessità, sia per acquisire nuove conoscenze attraverso persone giovani con skills preziose per i Comuni;
  • inserire figure manageriali, necessarie per guidare la complessità in corso e per governare i tanti e diversi interessi (a volte confliggenti) interni ed esterni all’amministrazione comunale. Questo può consentire ai Comuni di diventare attori credibili e di riferimento anche per le altre istituzioni e per i privati;
  • valorizzare le reti di scambio fra pubbliche amministrazioni: un’occasione di intelligenza collettiva (già sperimentata sia informalmente sia attraverso progetti di supporto ad alcune comunità di pratica) che, mettendo a fattor comune soluzioni ed errori, rende più rapida l’execution perché aiuta a non ripercorrere strade non efficaci. Queste reti, inoltre, consentono ai Comuni di poter immaginare e sperimentare nuove soluzioni tecniche ed amministrative;
  • attivare forme di collaborazione pubblico-privato per dare gambe a strategie territoriali che producano degli impatti, anche, favorendo la contaminazione fra l’attore pubblico e l’attore privato, sia nell’approccio alla progettazione che in quello all’attuazione, consentendo all’uno e all’altro di apprendere e di riconoscere la centralità dei reciproci ruoli per tradurre investimenti e risorse in risultati e impatti.

 

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