Ultimo aggiornamento 24.04.2025 - 9:33

Poiché ci si avvicina, a grandi passi, al momento della sottoscrizione dei primi accordi quadro, attuativi della strategia nazionale aree interne (Snai), vale la pena ricordare quanto previsto circa il ruolo fondamentale che vi svolgono i Comuni e quanto è loro richiesto in termini di impegni e responsabilità.
Le indicazioni dell'accordo di partenariato
Secondo quanto indicato dall'Accordo di Partenariato 2014-2020, all'interno del quale Snai è stata disegnata, per contrastare e invertire il fenomeno dello spopolamento nei Comuni classificati come "aree interne", «si intende (…) agire attraverso progetti di sviluppo locale (…), integrati da un intervento nazionale per assicurare alle comunità coinvolte condizioni di fruizione dei servizi essenziali (istruzione, salute, mobilità ndr) adeguate all'obiettivo di mantenere ovvero di attrarre, in questi territori, una popolazione di dimensioni adeguate all'obiettivo di tenuta del presidio del territorio e con una struttura demografica equilibrata».
I Comuni «costituiscono l'unità di base del processo di decisione politica e in forma di aggregazione di comuni contigui – sistemi locali intercomunali - sono partner privilegiati per la definizione della strategia di sviluppo d'area e per la realizzazione dei progetti di sviluppo».
Il ruolo dei Comuni
Le amministrazioni locali, con riguardo alla specifica articolazione della strategia, sono dunque coinvolte essenzialmente nella realizzazione di due classi di azioni:
a) la prima è relativa alla promozione dei progetti di sviluppo locale, in cui si dovrà sostanziare la proposta dei territori individuati dalle procedure istruttorie del Comitato tecnico e dalle Regioni, secondo il metodo istruttorio indicato nell'Accordo di Partenariato;
b) la seconda riguarda il soddisfacimento di un requisito di tipo istituzionale, relativo all'adeguamento della qualità\quantità dell'offerta di servizi e funzioni fondamentali (si fa qui riferimento a 9 delle 10 funzioni fondamentali attribuite dalla legge ai comuni: 1. amministrazione generale, gestione finanziaria e controlli; 2. servizi pubblici locali, compreso trasporti; 3. catasto; 4. pianificazione urbanistica; 5. protezione civile; 6. rifiuti urbani; 7. servizi sociali; 8. edilizia scolastica; 9. polizia municipale), considerata quale condizione ex ante da verificare per l'ammissibilità dell'aggregazione (area) territoriale alla strategia di intervento.
Per quanto di competenza, le amministrazioni locali dovranno concorrere a realizzare, insieme alla Regione e alle amministrazioni centrali responsabili di settore, un livello ottimale dei servizi essenziali di cittadinanza considerati dall'Accordo di Partenariato come presupposto indispensabile di ogni strategia di sviluppo, sicché se tali livelli qualitativi di servizio non fossero assicurati nessun intervento di sviluppo territoriale risulterebbe mai efficace.
Quanto ai Comuni partecipanti a ogni aree-progetto, essi dovranno realizzare forme appropriate di gestione associata di funzioni (fondamentali) e servizi (nelle forme previste dall'ordinamento: convenzione, unioni o fusioni) che siano «funzionali al raggiungimento dei risultati di lungo periodo degli interventi collegati alla strategia e tali da allineare pienamente la loro azione ordinaria con i progetti di sviluppo locali finanziati».
La gestione in forma associata di funzioni (fondamentali) e di servizi è assunta, inoltre, quale spia dell'esistenza di quella maggiore capacità di progettazione e attuazione di un'azione collettiva di sviluppo locale, così come richiesta dalla strategia nazionale "aree interne" quale elemento qualificante della stessa, in discontinuità con tutta la progettazione territoriale fino ad oggi sperimentata in Italia con la politica di coesione.
L'importanza del requisito associativo
I Comuni che parteciperanno alla strategia, precisa l'Accordo di partenariato, «dovranno provare di essere in grado di guardare oltre i propri confini, attraverso la gestione associata di servizi».
La verifica in sede istruttoria del suddetto requisito di gestione associata di funzioni e servizi è discriminante ai fini dell'ammissibilità delle aree territoriali alla strategia medesima nonché condizione per l'attivazione degli investimenti previsti da Snai oltre che di efficacia dei relativi interventi.
Poiché la gestione associata di funzioni e servizi presuppone l'esistenza di una capacità aggregativa, istituzionale e amministrativa, a seguito di suddetta verifica, dovrebbe essere possibile misurare – almeno a livello qualitativo - l'esistenza di ulteriori prerequisiti sottostanti la strategia di intervento, in particolare:
a) la capacità di leadership strategica e innovativa espressa dalla classe dirigente locale interessata;
b) l'intensità della forza generata da questa leadership per contrastare le resistenze al cambiamento che non di rado si "nascondono" nei sistemi territoriali;
c) la propensione ad esprimere tale forza di cambiamento e innovazione, attraverso una partecipazione attiva della popolazione ai processi decisionali.
Questo perché la gestione in associazione di funzioni pubbliche implica che qualcuno promuova e diriga il processo aggregativo; che tale soggettività (collettiva) si presume capace di vincere resistenze conservative negli assetti dei poteri locali; che la forza del cambiamento che essa genera possa essere direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento della collettività interessata nelle scelte strategiche e allocative.
Verifica del requisito associativo
Ai fini della verifica di esistenza del requisito istituzione della gestione associata è utile distinguere fra:
a) aggregazioni temporanee costruite «su e per progetti/programmi di sviluppo», tipiche di gran parte degli interventi di sviluppo locale promossi nel nostro Paese; almeno a partire dalla stagione della «programmazione negoziata» (patti territoriali, contratti d'area) e comprensive delle formule "utilizzate" dalla politica di coesione comunitaria (PIT, PISU, PIST, GAL, eccetera);
b) aggregazioni permanenti costruite su un disegno di gestione ordinaria di funzioni fondamentali e servizi locali.
Solo in questo secondo caso è possibile parlare di esistenza del requisito necessario per promuovere e attuare progetti/programmi di intervento a finalità di sviluppo territoriale, così come definiti nella strategia nazionale per le "aree interne".
Livelli di aggregazione che soddisfano il requisito associativo
Si assume che il livello minimo necessario richiesto per soddisfare il requisito istituzionale sia la gestione associata, a mezzo Convenzione definita ai sensi dell'articolo 30 della Dlgs 267/2000 (Tuel), di almeno due funzioni fra quelle indicate dall'articolo 19, comma 1, del Dl 95/2012 convertito dalla legge 135/2012, diverse da quelle indicate dalle lettere f) [organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi] ed g) [progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione] del medesimo articolo.
Il criterio tiene conto di eventuali limiti e vincoli demografici imposti dalla legislazione nazionale e regionale.
Le convenzioni dovranno stabilire fini, durata, forme di consultazione degli enti contraenti e disciplinare i rapporti finanziari e i reciproci obblighi e/o garanzie.
Le Convenzioni dovranno prevedere o la costituzione di uffici comuni, ai quali affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo ovvero, in subordine, attribuire la delega di funzioni a favore di uno di essi, che opererà in luogo e per conto degli enti partecipanti.
Le Convenzioni devono essere validamente stipulate dai Comuni appartenenti alle "aree progetto" al momento della sottoscrizione dell'accordo di programma quadro attuativo della strategia.
Il requisito associativo si considera naturalmente soddisfatto se i Comuni dell'area progetto operino nell'ambito di Unioni di Comuni ovvero di Unioni montane, se e dove queste ultime siano previste dalla legislazione regionale.

di Francesco Monaco - Responsabile politiche di coesione territoriale ANCI

Pubblicato in: Fondi Europei e coesione


Pur fra le molte preoccupazioni per la congiuntura, il 2016 dovrebbe essere l'anno di ripresa degli investimenti pubblici in tutto il Paese, dopo il drastico calo degli ultimi anni. Certamente sarà l'anno in cui entrerà in piena attuazione e a regime la strategia adottata nell'Accordo di partenariato e nei relativi programmi operativi della politica di coesione 2014-2020.
Si tratta di circa 100 miliardi di euro (fra fondi strutturali, quote di co-finanziamento, programmi complementari e Fondo FSC) in campo nel periodo 2016-2023 per sostenerela crescita e l'occupazione, in una logica di sostenibilità ambientale e di inclusione sociale. Il Governo italiano, per stimolare la ripresa, con la cosiddetta «clausola degli investimenti» ottenuta attraverso l'autorizzazione Ue a una deviazione dal percorso di convergenza, ha giocato la carta della flessibilità rispetto al Patto di stabilità europeo e stima si possano mobilitare investimenti nel 2016 (fra progetti co-finanziati da fondi strutturali 2014-2020, il Connecting Europe Facilitye il Piano Juncker) per un valore complessivo pari a 11 miliardi di euro, di cui 7 miliardi dovrebbero riguardare il Mezzogiorno.
Il ruolo di Comuni
Dal rapporto Ifel sulla dimensione territoriale della politica di coesione, emerge che i Comuni sono stati i secondi beneficiari dei programmi 2007-2013, dopo il sistema delle imprese. Dalle analisi condotte dall'Osservatorio Anci-Ifel e pubblicate su questo giornale, risulta inoltre che anche per il 2014-2020, sono state ampiamente superate le prescrizioni dei regolamenti comunitari di allocare almeno il 5% del fondo Fesr su interventi di sviluppo urbano sostenibile. [articolo 7, Reg. (UE) 1301\2013].
Dopo l'approvazione dei criteri di selezione delle operazioni nei Comitati di Sorveglianza dei programmi operativi, di cui daremo informazione in una prossima nota, i Comuni potranno dunque completare il percorso di definizione delle proprie strategie di intervento e avviare piani e progetti di investimento.
È importante ricordare, infine, che con la legge di stabilità 2016 sono state poste le basi per il superamento del Patto di stabilità interno in favore della nuova regola di pareggio del bilancio per le Regioni e per gli enti locali e che a seguito di questa decisione sarà possibile per molti Comuni, con attivi di bilancio, superare i blocchi forzosi della spesa degli anni passati e mobilitare consistenti risorse per effettuare investimenti in conto capitale, utili al rilancio della crescita.
Il ruolo dei "capitali privati"
Il capitale privato è chiamato a contribuire al nuovo ciclo di investimenti pubblici, anche attraverso la partecipazione al finanziamento di interventi co-finanziati dalla politica di coesione. Ciò potrà avvenire a mezzo di progetti generatori di entrate (Pge), definiti come «qualsiasi operazione che comporti un investimento in infrastrutture il cui utilizzo sia soggetto a tariffe direttamente a carico degli utenti o qualsiasi operazione che comporti la vendita o la locazione di terreni o immobili o qualsiasi altra fornitura di servizi contro pagamento» [articolo 55 del Reg. (Ue) 1083/2006].
La disciplina dei Pge ha subito una prima revisione con il Reg. (UE) 1341\2008; gli articoli 61 e seguenti del nuovo regolamento (Ue) di coordinamento dei fondi n. 1303\2013 ridefiniscono la materia nell'ambito di una più estesa normativa in materia di sostegno dei fondi agli strumenti di partenariato pubblico-privato.
La normativa in vigore si intreccia quindi con quella dei nuovi «strumenti finanziari innovativi» promossi dalla Commissione e che dovrebbero produrre, almeno nelle intenzioni, tre importanti effetti:
• un effetto moltiplicatore sui fondi a disposizione;
• una capacità di associare diverse forme di risorse pubbliche e private a sostegno di obiettivi di politiche pubbliche;
• una capacità di rendere il sostegno dei fondi più sostenibile sul lungo periodo.
L'individuazione di progetti finanziabili con la formula Pge riguarda i settori di intervento per i quali sia possibile stimare, ex ante, i fattori che condizionano la possibilità di prevedere gli elementi chiave delle entrate, ossia le tariffe e la domanda: i fattori più importanti in tal senso sono la disponibilità di dati coerenti ed esperienze e know how acquisito nel passato in progetti di investimento di questo tipo.
È evidente che gli strumenti finanziari promossi con il concorso di fondi strutturali dovranno essere concepiti e attuati in modo da stimolare la partecipazione delle istituzioni finanziarie e degli investitori privati, sulla base di un'adeguata condivisione dei rischi. Essi, infine, dovranno essere usati per rispondere a specifiche esigenze di mercato in modo efficace sotto il profilo dei costi, conformemente agli obiettivi dei programmi, evitando di produrre effetti di esclusione (crowding-out) dei finanziamenti privati.
Tipologia di progetti finanziabili ed esempi di progetti promossi dai Comuni
Gli esempi a cui si guarda per questa tipologia di interventi sono ovviamente quelli classici delle grandi infrastrutture, il cui utilizzo sia soggetto a tariffe direttamente a carico degli utenti. Si pensi a investimenti in viabilità che generino entrate attraverso pedaggi a carico degli autisti che le utilizzano ovvero altri flussi di cassa positivi ("pedaggi ombra" corrisposti dal Governo agli operatori del progetto); a investimenti nel settore del trasporto ferroviario che si remunerano con i biglietti pagati dai viaggiatori o flussi derivanti da contributi governativi ai costi operativi.
Uno spazio importante è riservato tuttavia anche agli interventi promossi dagli enti locali. Si tratta in questo caso di operazioni che comportino la vendita o la locazione di terreni o immobili, le cui entrate siano determinate: da prezzi o canoni di locazione pagati dagli utenti che utilizzano gli immobili, da pagamenti a carico degli stessi di altri servizi forniti dal progetto nonché da flussi di cassa positivi generati da contributi di investimenti azionari e\o dagli introiti generati dai prestiti.
Di rilevante interesse, inoltre, possono essere gli investimenti che riguardino il settore della valorizzazione dei beni culturali, dove le entrate siano assicurate dai canoni di locazione per mostre e\o da sussidi erogati da parte di enti pubblici o da donazioni private. In generale, sono da prendere in considerazione tutte le iniziative che prevedano un qualsiasi altro tipo di fornitura che comporti erogazioni di servizi contro pagamento. Un settore in cui sarà possibile sperimentare formule di coinvolgimento di capitali privati nell’ investimento, per esempio, è senz'altro quello del trattamento di acque di scarico e del ciclo integrato dei rifiuti.
Il ruolo di Cassa depositi e prestiti
Un ruolo importante nell'attivazione di questi nuovi strumenti è rivestito dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). Tale ruolo è regolato dai commi 826-830 della legge di stabilità per il 2016. Cdp ha innanzi tutto la qualifica di istituto nazionale di promozione, come definito dall'articolo 2, numero 3), del regolamento (Ue) 2015/1017, relativo al Feis, il nuovo Fondo europeo per investimenti strategici, che sarà gestito dalla Bei (Banca europea per gli investimenti). In ragione di tale qualifica, Cdp è abilitata a svolgere le attività degli istituti nazionali di promozione previste dal regolamento (Ue) 2015/1017, nonché i compiti previsti dal regolamento generale sui fondi strutturali (Reg. Ue n. 1303/2013 del 17 dicembre 2013) e dal regolamento (Ue, Euratom) n. 966/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, recante le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell'Unione.
Cdp, inoltre, potrà impiegare le risorse della gestione separata per contribuire a realizzare gli obiettivi del Feis, tra l'altro, mediante il finanziamento di piattaforme d'investimento e di singoli progetti.
Cdp o le società da essa controllate potranno infine esercitare i compiti di esecuzione degli strumenti finanziari destinatari dei Fondi SIE, di cui al regolamento (Ue, Euratom) n. 966/2012 e al regolamento Ue n. 1303/2013, in forza di un mandato della Commissione europea ovvero su richiesta delle Autorità di gestione.
Le relative attività potranno essere condotte con apporto finanziario da parte di amministrazioni ed enti pubblici o privati, anche a valere su risorse europee.

di Francesco Monaco - Responsabile Area politiche di coesione territoriale Anci

Pubblicato in: Fondi Europei e coesione

La prima delle 20 aree prototipo della «Strategia nazionale aree interne» (da ora Snai) che abbia definito il proprio documento di strategia, ora a disposizione di tutti sul sito dell'Agenzia della coesione territoriale. Si stratta della strategia d'area dell'Alta Valtellina (Regione Lombardia), cinque Comuni coinvolti (Sondalo, Valdisotto, Bormio, Valfurva e Valdidentro), 18.500 abitanti che vivono su 664 Kmq di superficie territoriale, 69% della quale compresa nel perimetro del Parco nazionale dello Stelvio, con una densità abitativa media di 27,8 ab|Kmq.
Un «area interna» con tratti tipici per caratteristiche di popolazione, numero di Comuni coinvolti e tipologia di problemi (peraltro comuni a tante altre aree, soprattutto nell'arco alpino e appenninico), su cui è da ora possibile verificare – oggi sulla carta, nei prossimi mesi anche nei fatti - se e come può/deve funzionare il coordinamento fra il mix di azioni pubbliche progettate per il potenziamento dei servizi alla cittadinanza (per far star meglio i residenti e convincerli a restare) e i progetti di investimenti pensati per il rilancio dell'economia e dell'occupazione (per valorizzare i fattori di attrattività del sistema locale).
Un mix di interventi che mira a coniugare azioni per la "cittadinanza" (con risorse ordinarie) e azioni per lo "sviluppo" (con risorse aggiuntive) e che è alla base dell'approccio Snai, in discontinuità con le pregresse esperienze italiane in materia di sviluppo locale e\o programmazione negoziata, che mai hanno ragionato in termini di integrazione fra queste due essenziali dimensioni dell'azione pubblica.
Una questione di metodo
Ma perché è così importante questa segnalazione? Perché dall'esame del documento è finalmente possibile toccare con mano e apprezzare efficacia e risultati a cui è pervenuta l'applicazione del resto delle aree interne italiane integrata territoriale promosso a partire dal 2015 da Snai.
E perché, per le caratteristiche dell'area sopraddette, le soluzioni adottate hanno valore paradigmatico per il resto delle aree interne italiane. Nelle prossime settimane, altre "aree progetto", selezionate nelle diverse Regioni italiane, renderanno pubblici i loro documenti strategici e si potrà comprendere ancora meglio le potenzialità di questo innovativo approccio.
Su questo si è insistito molto con le linee guida offerte dal Comitato nazionale Snai e molto si è lavorato nella convinzione che fosse decisivo non limitare eccessivamente il tempo necessario a ricostruire una visione di sviluppo prima di qualsiasi selezione delle cose da fare, superando così la nota logica del "progettificio": fare in fretta e tante cose, anche se non mirate e fra di loro scollegate.
Il corposo kit messo a disposizione dal Comitato Snai per la co-progettazioned'area testimonia dell'attenzione per questa fase della strategia: nella successiva fase di attuazione nuovi problemi potranno proporsi sul come fare/realizzare non più sul cosa fare e sul perché!
I contenuti del documento
La lettura degli 8 capitoli del documento consente di cogliere a pieno e nella sua vividezza il percorso di crescita fatto dal territorio interessato.
Ad un puntuale esame delle condizioni di partenza (elementi di criticità e potenzialità riconosciute) si associa una riflessione approfondita sulle tendenze del sistema territoriale, precisando tutte le conseguenze a cui la popolazione andrebbe incontro se nessuno intervenisse a modificarne la curva evolutiva.
Subito dopo, l'attenzione è dedicata allo scenario desiderato: con il racconto delle «inversioni di tendenza che si vogliono provocare nell'amministrazione di una terra di montagna» e l'indicazione dei punti di innesco della strategia d'intervento: l'incremento dell'integrazione delle politiche comprensoriali vs una deriva isolazionista e campanilistica dei singoli comuni; il rinnovamento degli interventi sul capitale umano, più legati ai fattori produttivi locali, e la creazione di nuove opportunità per i giovani valligiani; la valorizzazione delle risorse locali, soprattutto nella logica della diversificazione dell'offerta turistica (ma non solo: interessante per esempio la valorizzazione della filiera del legno); il sostegno alla diffusione di una cultura digitale, anche per superare limiti obiettivi di accessibilità dell'area.
Il superamento del campanilismo "amministrativo" è decretato nel capitolo 3: i Comuni (con i loro sindaci) restano i protagonisti principali della strategia; con il loro lavoro ne determinano processi ed esiti; scelgono fra di loro un referente che li rappresenta e fanno della gestione associata di funzioni e servizi un «segno di una scelta permanente»: per la costruzione di un solido sistema intercomunale, più forte nella competizione territoriale, più credibile rispetto ai propri cittadini, più autorevole nel confronto con le altre istituzioni regionali e nazionali.
Il cuore del documento è il capitolo in cui viene declinata la strategia d'area e indicati gli attori coinvolti che dovranno dare le gambe alle scelte effettuate. Qui il lavoro sul territorio, ascoltando tutti i soggetti "rilevanti" interessati - in linea con il nuovo codice del partenariato emanato dall'Ue - ha identificato con scrupolo macro-azioni e risultati attesi. Ad ognuno dei nove risultati attesi sono collegate le schede progetto con l'indicazione puntuale delle cose da fare, i progetti da realizzare.
L'organizzazione programmatica e il montaggio finanziario (previsti interventi per circa 20 meuro) chiude il quadro delle informazioni; nelle singole schede progetto, che verranno allegate all'accordo quadro di attuazione, saranno evidentemente indicati anche i tempi. Ovviamente, il documento non poteva non considerare - in un capitolo a parte - le altre misure di contesto che comunque saranno realizzate nell'area con altre politiche e altre risorse; e infine, un motto per riassumere la strategia: «la vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con occhi nuovi».

di Francesco Monaco -Responsabile Area politiche di coesione territoriale Anci

Pubblicato in: Fondi Europei e coesione

C'è molta attenzione allo sviluppo urbano nei programmi operativi regionali delle cinque Regioni italiane meno sviluppate. In Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia e Puglia, il peso finanziario degli assi dedicati a questo tema o delle azioni integrate urbane va (con l'eccezione della Puglia) dal 6 al 17% del totale. Ben oltre la soglia minima del 5% del Fesr che i regolamenti comunitari riservano allo sviluppo urbano sostenibile nel ciclo di programmazione 2014-2020. Il dato emerge da un'analisi dell'Area Mezzogiorno e Politiche di coesione dell'Anci sui programmi di investimenti delle cinque regioni, cui peraltro spetta il 70% circa dei Fondi strutturali complessivamente destinati all'Italia. C'è da dire che l'analisi è stata condotta sulle bozze disponibili di POR e che le grandezze potrebbero essere modificate all'esito del negoziato con la Commissione Ue.
La più sensibile allo sviluppo urbano pare la Campania, il cui asse vale 703.416.339,00 euro (il 17,09% del totale del Programma), con un cofinanziamento nazionale di 175.854.085,00 euro. La strategia regionale si attuerà attraverso l'evoluzione dei Programmi Integrati Urbani del ciclo 2007-2013, lungo due direttrici: il potenziamento delle funzioni delle Città Medie rispetto alle aree peri-urbane che le circondano; ed il rafforzamento dell'Area Metropolitana di Napoli, centro nevralgico di offerta di servizi, anche attraverso il completamento dei Grandi Progetti 2007-2013.
Il Programma Operativo Plurifondo (FESR e FSE) della Calabria destina circa il 10% dei programmi all'attuazione delle azioni integrate per lo sviluppo urbano sostenibile, nell'Asse 12 "Città intelligente e sostenibile". Interessati i principali sistemi urbani: l'Area Urbana Cosenza-Rende, Catanzaro, Lamezia Terme, Crotone, Vibo Valentia, l'Area Urbana Corigliano-Rossano, la "Città-Porto" di Gioia Tauro (Gioia Tauro, Rosarno e S.Ferdinando); ma anche la Città metropolitana di Reggio Calabria, destinataria anche degli interventi previsti nel Pon Metro.
Si concentra, invece, sulla valorizzazione delle tipicità economico-produttive delle due Città lucane, lo sviluppo urbano sostenibile della Basilicata, che investirà 41.301.566 euro (10% del valore totale del Por). Per Matera, attrattore turistico-culturale di rilevanza internazionale, e Potenza, polo di servizi pubblici e privati, sono delineati due Piani di sviluppo integrato, da realizzarsi anche con il nuovo strumento degli "Investimenti Territoriali Integrati" (Iti).
Anche la Sicilia ha deciso di puntare sugli ITI urbani nell'ambito del Por Fesr per la realizzazione degli interventi integrati strategici nelle aree urbane regionali. Coinvolte le tre Città metropolitane (Catania, Palermo e Messina), già destinatarie degli interventi previsti dal PON Metro, in stretta sinergia con questi ultimi. L'investimento previsto ammonta a 248.941.593,88 di euro di risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, il 7,28% del valore totale del Programma operativo regionale.
Un po' fuori dal coro appare la Puglia, che dedica allo Sviluppo urbano sostenibile l'Asse 12, ma prevedendo risorse finanziarie pari solo al 2,3 % del totale FESR destinato al Programma Operativo Regionale (l'asse vale 130.000.000 di euro). La scelta va probabilmente ricondotta all'intenzione dichiarata della Regione di finanziare solo pochi progetti pilota e prototipi di interventi innovativi, intestati ad Autorità urbane con esperienza nella realizzazione di interventi integrati di pianificazione/gestione del territorio.

di Giuseppe Pellicanò

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Slide relative al webinar del giorno 30 settembre 2016 - Il contrasto all’evasione fiscale: l’azione dei Comuni - Relatore: Luigi…
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