L’analisi per taglia demografica comunale consente di capire la diffusione dei differenti contratti di lavoro flessibile (Tabelle 1, 2 e 3).
Per tutte le tipologie dimensionali comunali, ad eccezione di quella compresa tra 5.000 e 19.999 abitanti, dove prevale la categoria dei lavori socialmente utili, la forma flessibile maggiormente diffusa è il contratto a tempo determinato.
Nelle realtà comunali con più di 250.000 abitanti si concentra il 19,5% delle unità annue di personale a tempo determinato, pari a 4.196 in valore assoluto. La classe di ampiezza “0-1.999” ha invece il primato rispetto ai contratti di formazione lavoro (52,8%).
Analizzando il personale inquadrato come lavoratore socialmente utile spicca il dato dei comuni compresi nella fascia demografica “5.000-19.999” residenti, in cui circa 1 lavoratore con contratto flessibile su 2 è un LSU, contro un dato medio del 39,3%. In particolare, sia nella fascia “5.000-9.999”, che in quella “10.000-19.999”, ricade oltre il 20% delle unità complessive di LSU. Al contrario, in relazione a tale tipologia contrattuale, nei comuni con più di 60.000 abitanti il dato è significativamente meno rilevante rispetto a quello delle altre classi dimensionali (<10%).
Tabella 1 Il personale con Rapporto di lavoro flessibile, per tipologia contrattuale e classe demografica (valori assoluti), 2014
Tabella 2 Il personale con Rapporto di lavoro flessibile, per tipologia contrattuale e classe demografica (percentuale di colonna), 2014
Tabella 3 Il personale con Rapporto di lavoro flessibile, per tipologia contrattuale e classe demografica (percentuale di riga), 2014
I contratti interinali e di formazione lavoro sono, in genere, strumenti di flessibilità poco diffusi nelle amministrazioni comunali del Paese. Il maggior numero di unità annue di personale che si avvale della formula interinale (357) si registra nei comuni con una popolazione compresa tra i 60 mila ed i 249.999 abitanti e corrisponde al 27,0% del totale dei lavoratori con rapporto flessibile appartenenti a tale categoria contrattuale.
Il volume “I Comuni della Campania 2017” illustra le principali caratteristiche territoriali, istituzionali, economico-finanziarie e socio-demografiche dei comuni campani, utilizzando come fonti primarie i dati ufficiali più recenti e disponibili per ciascun settore d’indagine.
L’unità di rilevazione è il singolo comune, i cui dati ed indicatori derivati sono stati analizzati a livello provinciale e di classe demografica, con un’attenzione particolare ai piccoli comuni della regione. L’analisi di ciascun fenomeno viene inoltre arricchita da una descrizione cartografica degli indicatori maggiormente rappresentabili in termini di georeferenziazione.
Il documento è composto da una selezione delle risposte fornite dal servizio "Anci Risponde" ai quesiti formulati dai Comuni. Si tratta, quindi, di uno strumento pratico di inquadramento e gestione delle problematiche di spiccata attualià che gli Enti locali si trovano quotidianamente a dover affrontare. L'indice interattivo consente di visualizzare l'area tematica di proprio interesse cliccando sulla sezione corrispondente.
Un elemento fondamentale per la completa descrizione delle dinamiche occupazionali attiene l’istituto della mobilità, vale a dire l’iter per il trasferimento dei dipendenti pubblici all’interno dell’universo delle amministrazioni pubbliche.
Prima di addentrarsi nelle evidenze empiriche, ne va chiarito innanzitutto il significato. Sintetizzando i concetti chiave che ruotano attorno a tale strumento si ricorda che per mobilità volontaria si intende quella in cui è il dipendente a richiedere il trasferimento, mentre la mobilità obbligatoria interessa sia la cessione di personale in conseguenza del trasferimento di funzioni da una amministrazione ad un’altra, sia la riallocazione di dipendenti in eccedenza o in soprannumero (cosiddetta mobilità collettiva o d’ufficio). In ogni caso, si tratta di un trasferimento a carattere permanente, ovvero che prevede la cessione del rapporto di lavoro. Esiste poi anche la cosiddetta mobilità temporanea, che seppur non regolamentata nello stesso D. Lgs. 165/2001, si configura nell’assegnazione, per un periodo di tempo limitato, di un lavoratore a un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, per determinate esigenze dell’una o dell’altra (comandi e distacchi). La mobilità sia permanente che temporanea può poi avvenire da/verso amministrazioni dello stesso comparto (mobilità intercompartimentale) o da/verso amministrazioni di altri comparti (mobilità extracompartimentale).
Nel passare alle evidenze empiriche sull’utilizzo di tale istituto è necessario precisare che, sebbene le statistiche disponibili distinguano tra mobilità temporanea e permanente, purtroppo per quest’ultima non è possibile conoscere il dettaglio tra volontaria e d’ufficio.
Le Tabelle 1 e 2 descrivono i fenomeni di mobilità nel mondo comunale, separando quelli permanenti da quelli temporanei e dividendo altresì la mobilità che avviene all’interno del comparto delle regioni ed autonomie locali da quella che interessa l’intera pubblica amministrazione. Anche in questo caso, i dati vengono presentati per due annualità, il 2008 e il 2014.
Tabella 1 - Mobilità permanente del personale comunale dirigente e non dirigente, 2008/2014
Tabella 2 - Mobilità temporanea del personale dirigente e non dirigente, 2008/2014
Risulta interessante notare come nel 2014, rispetto al 2008, sia cresciuto l’utilizzo della mobilità all’interno del comparto, con entrati e usciti che passano da poco più dello 0,5% delle consistenze nel 2008 all’1% nel 2014. Rimane invece stabile il dato sulla mobilità extracomparto, con il mondo comunale che risulta un cedente netto rispetto al resto della PA (con un numero di usciti rispetto agli entranti quasi doppio). Analogo comportamento interessa infine la mobilità temporanea, dove non si evidenziano particolari differenziazioni nel tempo, con una quota di usciti di tre volte superiore agli entrati in entrambe le annualità.
Va, infine, precisato che è del tutto probabile che l’intero processo di riorganizzazione che sta interessando gli enti di area vasta, porterà ad osservare nei prossimi anni un’ulteriore accentuazione del fenomeno osservato.
Nel 2016, nei comuni italiani, il tasso di mortalità sopravanza il tasso di natalità determinando, complessivamente, un tasso di incremento naturale medio negativo pari a -2,67 ogni 1.000 abitanti. Tale andamento è riscontrabile in quasi tutte le regioni con valori superiori nei comuni liguri (-7,84) dove appunto il tasso di natalità è del 6,46 e il tasso di mortalità del 14,30 per 1.000 abitanti.
A seguire il Molise dove la forbice è del 5,46. (Tabella 1)
Osserviamo quindi la quasi totalità di valori negativi ad eccezione del Trentino Alto Adige con un tasso di incremento naturale dello 0,72. Una minore soglia di decrescita si registra invece nei comuni della Regione Lombardia (-1,53), della Campania (-0,99) e della Sicilia (-1,93).
Da un punto di vista cartografico, il fenomeno emerge con maggior evidenza; il tasso di incremento naturale risulta nullo o negativo in quasi la totalità del Paese con qualche eccezione nelle regioni del nord est, nelle coste laziali e campane, della Puglia e in alcune zone di Calabria, Sicilia e Sardegna.