Ultimo aggiornamento 12.12.2024 - 9:30
Amministratore IFEL2

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Si registrano ancora difficoltà nella spesa dei fondi europei, ma non va meglio la spesa delle risorse nazionali. I comuni sono i più penalizzati dai ritardi


L’Italia è il secondo beneficiario dell’UE delle politiche di coesione dopo la Polonia (quasi 105 mld di euro), con un budget di circa 76 mld di euro, di cui il 52% è però assicurato da co-finanziamento nazionale.
Il prossimo ciclo di programmazione dei fondi europei 2021-2027, se il negoziato in corso si chiudesse oggi congelato sulle proposte della Commissione UE, prevedrebbe un incremento nella dotazione finanziaria dell’Italia, da 36,2 miliardi di euro nel 2014-2020 a 38,6 miliardi di euro previsti per il 2021-2027.
Per quanto riguarda il ciclo in corso (2014-2020), la performance media della spesa UE ad ottobre 2018 si attesta al 18,8%, mentre il livello di impegni sulle risorse programmate è del 61,4%.
In Italia la spesa è al 12,5% mentre il livello degli impegni si attesta al 54,2%
Al fine di valutare tale performance vale ricordare che il pacchetto di regolamenti per il ciclo 2014-2020 è stato approvato a dicembre 2013 e che l’Accordo di Partenariato è stato adottato dalla Commissione nell’ottobre 2014, facendo slittare l’approvazione dei programmi operativi che avviano il ciclo di spesa a fine 2015 (quasi due anni dopo l’avvio formale del ciclo).
Per prepararsi per tempo al futuro conviene tuttavia dare uno sguardo e confrontare gli andamenti degli ultimi due cicli di programmazione.

Si conferma il ritardo italiano: il ciclo 2014-2020 come quello 2007-2013

L’analisi dello stato di attuazione e il ruolo dei Comuni nella programmazione delle politiche di coesione 2014-2020 nella sua dimensione territoriale è oggetto dello studio della Fondazione IFEL: "La dimensione territoriale nelle politiche di coesione.  Stato d’attuazione e ruolo dei Comuni nella programmazione 2014-2020. Ottava edizione – 2018". Lo studio conferma i ritardi con cui procede il ciclo di programmazione europea 2014-2020, a livelli di attuazione non molto difformi da quelli registrati nel precedente ciclo, stesso periodo. Confrontando l’avanzamento finanziario della programmazione 07-13 con quello del 14-20, a distanza di 4 anni dal momento di avvio di entrambi i periodi, si rileva nell’attuale ciclo un’incidenza ridotta della spesa rispetto alle dotazioni dei Programmi (il 9% vs l’11% del 07-13); al contrario il 14-20 sembra avere meno problemi del passato sul fronte degli impegni (30,1 mld su circa 52 mld, ossia il 58% delle dotazioni vs il 39% del periodo 07-13). Una prima valutazione che si può avanzare è che Il sistema amministrativo italiano non sembra riuscire a fare tesoro delle esperienze passate; al netto dei ritardi di avvio della programmazione dovuti a tardiva approvazione dei regolamenti e dei documenti operativi, si presume una ripetizione degli stessi errori da parte delle amministrazioni interessate dalla politica di coesione, che evidentemente fanno fatica ad apprendere dal passato.

I comuni sono il livello istituzionale più penalizzato

Se guardiamo al ruolo dei Comuni, troviamo innanzitutto un calo del numero delle amministrazioni beneficiarie rispetto al precedente ciclo di programmazione, con una conseguente riduzione delle risorse assegnate. Guardando ai POR FESR, sempre a 4 anni di distanza dall’avvio delle programmazioni, i comuni italiani beneficiari passano dal 16% (1.293 enti) al 12% (941) del totale delle amministrazioni comunali del Paese; le risorse si dimezzano (da 2,5 miliardi di euro a 1,1 miliardi di euro); si assiste ad una ulteriore polverizzazione degli interventi (da 1,9 progetti in media per comune nel 2007-2013 a 1,4 nel 2014-2020).
È un peccato perché tradizionalmente i comuni trainano gli investimenti pubblici: se è vero che essi mobilitano importi finanziari più piccoli per progetto è altresì evidente una maggiore velocità di realizzazione e di spesa.

Fondi europei lenti ma quelli nazionali vanno anche peggio

La lentezza nella spesa dei fondi europei dipende dalla complessa regolazione comunitaria? Non si direbbe. L’utilizzo dei fondi nazionali, con le stesse regole comunitarie, ma senza rischio disimpegno, va anche peggio. Confrontando il livello di impegni sulla dotazione dei Fondi strutturali (FESR+FSE) contro quello del FSC (Fondo alimentato da risorse nazionali e privo di regole esterne/scadenze di spesa) si ottengono percentuali pari al 58% e al 20% dei rispettivi budget. Da notare che i dati di spesa del FSC non sono ancora disponibili mentre quelle di derivazione UE sono pienamente consultabili e confrontabili, a segnalare una maggiore trasparenza della politica di coesione europea rispetto a quella nazionale. Ma come mai questo maggiore ritardo del FSC? Sarà perché quando i fondi europei non vengono spesi sono oggetto del disimpegno automatico delle risorse, mentre i fondi nazionali possono essere riprogrammati? Se così fosse, il “vincolo esterno” funzionerebbe qui come “salvacondotto” per le risorse e come incentivo alla spesa.

Senza i fondi europei la spesa in c/cap. della PA nel Mezzogiorno si dimezzerebbe

In assenza delle c.d. risorse aggiuntive (fondi strutturali + cofinanziamento + FSC), i 52 miliardi medi annui di spesa in conto capitale della PA, tra il 2000 ed il 2016, scenderebbero a quota 39 mld. Situazione più critica per il Mezzogiorno, dove la spesa in conto capitale media annua, pari a 19 miliardi di euro, si andrebbe a dimezzare, attestandosi a quota 9 mld. In particolare, in corrispondenza delle chiusure dei periodi di programmazione si assiste a massicce certificazioni che fanno sorgere perplessità sulla natura di “aggiuntività” dei fondi strutturali e di quelli per le aree sottoutilizzate: è il caso del 20151 nel Mezzogiorno, quando di 723 euro pro capite di spesa della PA in conto capitale ben 498 euro sono di natura “aggiuntiva”...o meglio “sostitutiva”. Per l’anno 2016 e 20172 l’effetto “dopante” delle risorse aggiuntive sul valore complessivo della spesa in c/cap. del Mezzogiorno si riduce significativamente: le risorse aggiuntive raggiungono i 120 e i 178 euro pro capite nei due anni.


1 In base alla regola comunitaria nota come “n+2” (art. 93 del Regolamento CE 1083/2006), il termine ultimo di ammissibilità della spesa rendicontabile alla Commissione europea per il ciclo 2007-2013 era fissato infatti al 31 dicembre 2015.
2 Stima.

Chiusa la VII Conferenza Annuale di IFEL.

Amministratori locali, esperti del settore, parlamentari e tecnici della Fondazione si sono ritrovati a fare il punto sulla Legge di bilancio 2019 attualmente in discussione alla Camera dei Deputati nel merito dei punti riguardanti la finanza locale e sull’andamento degli investimenti pubblici per il rilancio dell’economia.

“I Comuni hanno pagato un prezzo veramente molto alto, si potrebbe dire spropositato, sull’altare della crisi economica – dichiara Guido Castelli, Presidente IFEL e delegato dell’Anci alla Finanza locale a margine dell’evento IFEL – Lo stato centrale ha chiesto saccrifici importanti che si sono manifestati in tagli ma anche e soprattuto in riforme che hanno imposto un rigore senza precedenti alla tenuta dei nostri bilanci. Da questo punto di vista ci rendiamo conto che questa cura ha prodotto degli effetti anche collaterali anche piuttosto ivasivi per i Comuni tanto è vero che da due, tre anni, sono tornati i fondi per gli investimenti ma a causa dell’invecchiamento delle nostre strutture, a causa anche della complessità del codice degli appalti vediamo però che la spesa in conto capitale ancora non riparte. Non è un limite dei Comuni ma è molto difficle che la macchina amministrativa ferma in garage per molti anni posso subito tornare a far sentire il proprio rumore”.

“Questa legge di bilancio - ha tenuto a precisare il Sindaco di Ascoli - contiene già in parte segnali incoraggiamenti ma come sindaci chiediamo che sia possibile una pacificazione tra stato centrale e le zone periferiche dello Stato di cui la nazione ha bisogno ma che deve essere messa in condizione di poter operare, pacificazione che deve tener conto che non tutti i comuni sono uguali. Lo Stato npon può non tenerne conto portando avanti delle riforme nel rispetto delle autonomie come ricorda l’art. 5 della nostra Costituzione Italiana”.

Dutante i lavori in Conferenza, infatti, la relazione di Andrea Ferri, Responsabile del Dipartimento di Finanza Locale Anci-Ifel ha messo in luce gli aspetti ancora controversi della manovra di bilancio. “I comuni - ha precisato nella sua relazione introduttiva - rischiano riduzioni di risorse per 1.300 milioni di euro, una dimensione importante, da trattare con strumenti appropriati, di natura normativa (820 mln di euro tra FCDE, maggiorazione Tasi e maggiorazione e imposta di pubblicità) ma anche economica (480 mln di euro tra Fondo IMU-Tasi e maggiori spese per il personale). Il recupero anche parziale e progessivo del taglio ex dl 66/2014 (563 mln di euro) può costituire un supporto decisivo, anche per migliorare la perequazione oggi solo orizzontale”.

“Dopo una lunga stagione di vincoli finanziari più o meno stringenti, ma comunque distorsivi, a partire dal 2019 per gli enti locali il vincolo di finanza pubblica coincide finalmente con il rispetto dei principi ordinari della gestione del bilancio” . Ferri ha proseguito ricordando che nel 2016 è stato superato il Patto di stabilità interno che imponeva avanzi annuali per il singolo ente, mentre solo con il 2019 viene abbandonato un regime di vincoli in vigore da vent’anni e si consente l’utilizzo sia degli avanzi effettivamente disponibili sia del debito nei soli limiti stabiliti dal TUEL”.

“Lo sblocco degli avanzi per il futuro - ha concluso Ferri – poi, garantirà un giusto vantaggio per l’ente anche sul versante della parte corrente: ad esempio sarà ora possibile impegnare gli avanzi correnti derivanti da contributi (in primis regionali) oltre che per altre spese correnti a carattere non permanente nei limiti dell’art. 187 del TUEL”.

“Il tema di questa Conferenza in definitiva è questo: i Comuni riusciranno a lasciarsi alle spalle gli anni della crisi finanziaria e delle politiche di consolidamento fiscale?” – E’ quello che si chiede Pierciro Galeone, Direttore di IFEL – “E’ questa la prospettiva dalla quale valutare la Legge di Bilancio 2019 – dichiara Galeone - Non mancano elementi positivi come il definitivo abbandono di ogni vincolo oltre la regola dell’equilibrio di bilancio. Il periodo dei vincoli da Patto di stabilità e delle relative sanzioni è lasciato alle spalle”.

“Tuttavia le politiche di consolidamento fiscale - ha prseguito il Direttore della Fondazione - hanno lasciato in circolo “tossine” che il sistema dei Comuni non riesce ancora a smaltire e che hanno danneggiato la stessa struttura portante della finanza locale. A partire dai pilastri costituzionali dell’ ”autonomia” e della “perequazione”. Il tema degli investimenti e della loro difficile ripartenza mostra bene come dopo anni di convergenza “restrittiva” di tutte le principali politiche pubbliche (finanziarie, contabili, sugli aquisti e gli appalti, sul personale, ecc.) le amministrazioni sono inbolite strutturalmente”.

“E’ necessario – ha concluso Galeone - aprire un nuovo ciclo degli investimenti adeguto ai bisogni del Paese che ha bisogno ora del convergere di azioni pubbliche che assicurino trasferimenti statali per gli investimenti certi negli importi e le modalità di accesso, semplifichino le procedure di affidamento e realizzazione, mettano in campo azioni di supporto tecnco alle amministrazioni comunali attualmente impoverite di personale dopo anni di blocco del turn over”.


I MATERIALI DELLA CONFERENZA

SESSIONE I – Stabilità ed equità per l’autonomia comunale
Andrea Ferri - Quello che c'è e quello che manca nella Legge di Bilancio
Giancarlo Verde - Scarica l'intervento

SESSIONE II – Liberare gli investimenti comunali
Walter Tortorella - Gli investimenti comunali tra potenzialità e vincoli
Francesco Monaco - La riforma della Politica di Coesione e le condizioni per una sua più efficace attuazione
Marco Nicolai - Le opportunità e i rischi del partenariato pubblico privato

I VIDEO DELLA CONFERENZA

Più di 1.000 società pubbliche locali in meno in tre anni.

Secondo lo studio IFEL (elaborazione dati su fonte CERVED PA 2018 e piani di razionalizzazione dei Comuni Capoluogo di Provincia) che sarà diffuso nei prossimi giorni, le società partecipate dai Comuni si sono ridotte dalle 5.374 del 2015 alle 4.313 del 2018. Un calo pari al 20% determinato dal saldo tra la chiusura (o la dismissione della totalità delle partecipazioni pubbliche) di ben 1.654 società e dalla registrazione di 595 nuove società. Quest’ultimo dato sembrerebbe, peraltro, il frutto di processi di fusione, in attuazione dei piani di razionalizzazione, di adeguamento alla obbligatoria gestione in forma associata (c.d. ambiti o bacini) dei servizi in rete.

Oltre alle società partecipate dai Comuni, diminuiscono anche le partecipazioni pubbliche locali (ogni società, infatti, può essere partecipata da più Comuni, il che spiega il numero di partecipazioni ben superiore a quello delle società).

Il calo delle partecipazioni è pari al 27,7% rispetto al 2015: le partecipazioni erano pari a 127.262 mentre nel 2018 le partecipazioni sono pari a 91.966.

Entrando nel dettaglio delle 4.313 società pubbliche locali presenti nel 2018 (ed assumendo a riferimento i codici Ateco primari), il 67,5% di queste eroga servizi pubblici (SIG e SIEG), il 22% attività strumentali (ad esempio i servizi di informatica, le attività scientifiche e professionali, le attività amministrative e di supporto), l’8,6% opera in “altri settori” (ad esempio il settore industriale, le attività di commercio e magazzinaggio, i servizi postali, i noleggi, il settore culturale etc).

Circa il 90% delle società partecipate dai comuni produce, dunque, servizi di interesse generale (economico e non), ovvero servizi strumentali (autoproduzione). Le società pubbliche locali si concentrano nel nord del Paese (58,4%) dove del resto sono più numerosi anche i Comuni (56% del totale). Interessante è la presenza a Nord di partecipazioni indirette, segno di una struttura più complessa e specializzata.

Raffrontando questo dato alle 1.654 società “estinte”, il gruppo “altri settori” vede la diminuzione più elevata, sintomo che ad essere abbandonate sono in primo luogo le società più lontane dalle finalità istituzionali (il “core business”) degli enti locali soci. Inoltre, sempre in relazione alle società “estinte”, in ben 802 casi la totalità della partecipazione cumulata anche di più comuni non raggiungeva il 3,5% dell’intero capitale (c.d. “partecipazioni pulviscolari”).

Il 90% delle società “estinte” (1.357 su 1.654) non risponde ai criteri di “conservazione” previsti dal Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.lgs. 175/2016).

IFEL ha inoltre analizzato la situazione economico-patrimoniale delle 2.732 società di cui è disponibile il bilancio di esercizio 2016 (il 63% su 4.313); ebbene, il 75% di queste (2.053 su 2.732) registra un risultato di esercizio in utile, per un risultato “consolidato” di oltre 2,5 miliardi di euro, a fronte di 1,1 miliardi di euro di perdite del restante 25% (con un saldo positivo di 1,4 miliardi di euro).

Le società partecipate dai comuni operanti nei servizi a rete (gas, acqua, energia e rifiuti), escluso il trasporto pubblico locale (TPL), sono complessivamente in utile (1,275 miliardi di euro). Anche il TPL, al netto delle quattro principali aree metropolitane (Napoli, Roma, Torino e Milano), presenta un risultato di esercizio complessivamente positivo. Per le società di trasporto delle quattro città maggiori, invece, dai dati disponibili dei bilanci 2016, solo ATM a Milano ha registrato un risultato d’esercizio positivo, a fronte delle perdite registrate da GTT Torino, ATAC Roma e ANM di Napoli.

Lo studio infine analizza i dati presenti nei piani di ricognizione straordinaria adottati dai 111 comuni capoluogo di provincia o città metropolitana, ai sensi dell’articolo 24 del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.

Si tratta di 1.576 partecipazioni comunali, a cui corrispondono 1.482 società partecipate (nel caso dei comuni capoluogo/città metropolitane, dunque, il rapporto partecipazioni/società partecipate è pari quasi a 1). Per oltre un terzo di tali partecipazioni (568, pari al 36%) sono previste azioni di razionalizzazione, che, nella larghissima maggioranza, consistono in operazioni di cessione delle partecipazioni o liquidazione delle società.

IFEL ha partecipato oggi alla presentazione del Rapporto Cresme 2019 sul mercato delle costruzioni a Milano presso il Centro Congressi della Fondazione Cariplo.

I recenti segnali di ripresa hanno oggi di fronte una situazione di incertezza dovuta anche alle turbolenze internazionali. Gli investimenti Pubblici possono dare un contributo alla ripresa economica e il direttore di IFEL Galeone ha illustrato come i Comuni si trovino ad affrontare un passaggio promettente ma ancora critico. “Il taglio dei trasferimenti e le regole vincolanti della legislazione della crisi hanno ridotto - ha ribadito Galeone - di un terzo la spesa per investimenti dal 2010. La ripresa è oggi possibile ma per liberare gli investimenti comunali servono tre cose: una pianificazione dei trasferimenti nazionali finanziariamente adeguata ma soprattutto chiara ed affidabile in grado di dare certezze alla programmazione comunale; regole semplificate che rendano più rapida l’attuazione e riducano il contenzioso; un supporto tecnico a quei Comuni che il blocco del turn over ha impoverito di competenze tecniche”.

Sono temi che saranno ulteriormente approfonditi giovedì 29 novembre alla VII Conferenza IFEL a Roma.

Appuntamento giovedì 22 novembre alle 10.30 alla Lanterna di Roma, in Via Tomacelli 157, con l’incontro “Un manifesto per la qualità urbana”, promosso da FPC - Fondazione ANCI, FIABCI Federazione delle Associazioni immobiliari e UN Habitat, che propone un momento di riflessione su esperienze nazionali e internazionali per mettere a confronto strategie per lo sviluppo sostenibile e il loro impatto sulle città.

Una collaborazione resa possibile grazie all'impegno del presidente FPC – Fondazione ANCI e delegato Anci all'urbanistica e ai lavori pubblici Mario Occhiuto, che ha fortemente voluto l’accordo con FIABCI e ha ideato l’evento. Nei centri urbani oggi vivono sempre più persone con bisogni e aspettative emergenti e si concentrano infrastrutture, capitali cognitivi e finanziari, che sono motore per il cambiamento. L’incontro, a cui interverranno referenti istituzionali, sindaci di città virtuose e protagonisti del mondo immobiliare – tra cui il direttore dell’Agenzia del Demanio Riccardo Carpino, il vicepresidente di Federcasa Alessandro Almadori e l’amministratore delegato di Invimit Elisabetta Spitz - focalizza l’attenzione sulla necessità di perseguire interventi di trasformazione urbana che rispondano a criteri di qualità, attraverso un manifesto condiviso.

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