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Nel 2015 gli investimenti locali hanno sfiorato i 12,2 miliardi, con un'accelerata del 14% che ha chiuso un ciclo negativo durato sette anni,e per quest'anno si prevede un altro aumento fra il 10 e il 15%, che permetterebbe alla spesa in conto capitale dei Comuni di tornare almeno ai livelli del 2012.
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Arrivano i primi numeri ufficiali sulle dinamiche della finanza locale, elaborati dalla Ragioneria generale dello Stato, e certificano il cambio di rotta prodotto dal pensionamento progressivo del Patto di stabilità avviato l'anno scorso e ultimato quest'anno. Le cifre ministeriali, però, indicano anche l'esplosione nel 2015 di un problema strutturale dei conti territoriali, che dopo essere stato una presenza costante degli ultimi anni ha raggiunto nel 2015 dimensioni plateali: nel loro complesso, secondoi dati in questo caso ancora provvisori elaborati a Via XX Settembre, i Comuni hanno superato di 2,9 miliardi l'obiettivo fissato dalla manovra, arrivando quasi a raddoppiare l' overshooting abituale che prima si aggirava intorno al miliardo e mezzo. Per il consolidato della Pubblica amministrazione, cioè per i conti che l'Italia presenta a Bruxelles, i dati diffusi ieri nel convegno organizzato dalla Fondazione nazionale dei commercialisti con il Consiglio nazionale, il ministero dell'Economiae l'Anci sono un'ottima notizia, perché il lavoro in più svolto dai Comuni serve a compensare generosamente le difficoltà delle Province, che si sono fermate quasi un miliardo sotto i livelli assegnati dalla legge di stabilità (come anticipato sul Sole 24 Ore del 20 aprile). Per l'economia reale, però, la questione è di segno opposto, come si capisce bene quando si passa dai bilanci pubblici alle loro conseguenze: con una sintesi brutale, se la legge di stabilità chiede al Comune di chiudere con un saldo positivo di 100 euroe l'ente arrivaa +250, significa non aver realizzato inve stimenti per 150 euro perfettamente consentiti dalla manovra. Certo, di volta in volta occorre vedere se oltre agli spazi di finanza pubblica c'erano anche le risorse vere per avviare l'investimento (o la possibilità di ottenerle con finanziamenti), ma l'enormità della distanza fra obiettivi di finanza pubblica e saldi reali dei Comuni riassume il più perverso fra gli effetti dei continui cambi di regole, che impediscono la programmazione e finiscono per produrre colpi anche più duri di quelli portati dalle misure anticrisi. Per questo motivo anche ieri il ministero, a partire dal Ragioniere generale Daniele Franco, ha ribadito l'urgenza di dare stabilità al panorama della finanza locale, per arrivare in fretta ad applicare la regola che chiede di approvarei bilanci di previsione entro il 31 dicembre dell'anno prima rispetto all'esercizio finanziario a cui si riferiscono: anche perché l'esercizio provvisorioè un nemico naturale di programmazionee investimenti. Per raggiungere l'obiettivo serve però anche la definizione strutturale delle regole sul pareggio di bilancio: la riforma della legge 243/2012, quella che attua gli obblighi di pareggio di bilancio scritti nell'articolo 81 della Costituzione riscritto esattamente quattro anni fa, è stata avviata dal governoa fine marzo ma la sua navigazione parlamentare non è di fatto ancora iniziata, e serve un'accelerazione per chiudere prima dell'estate una pratica che non si annuncia banale.L'andamento della spesa in conto capitale
13.423
10.671
12.194
17.922
18.020
15.053
14.284
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20.000 5.000 15.000 10.000 -5,0% 2008 - 0,5% 2009 - 16,0% 2010 - 5,1% 2011 - 0,6% 2012 - 5,5% 2013 - 20,5% 2014 2015 +14,3% Fonte: Ragioneria generale dello Stato I valori degli investimenti degli enti locali negli ultimi otto anni. Valori in milioni e diff. % sull'anno precedente
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La crisi finanziaria degli ultimi anni ha stimolato la nascita di nuovi bisogni soprattutto in ambito sociale, dovuti al peggioramento delle condizioni economiche dei vari Paesi. In questo contesto è stato rivalutato il contributo che la finanza ad impatto sociale può fornire per il riavvio del ciclo economico e per la tutela e la valorizzazione dei beni pubblici e dei beni comuni.
Il tema della finanza ad impatto sociale sarà al centro del seminario in diretta streaming: “Finanza Sociale e Comuni- Strumenti di finanziamento ad impatto sociale per le amministrazioni locali: i risultati di una ricerca sulle esperienze europee” che si terrà giovedì 21 aprile dalle 10:00 alle 13:00.
Nel corso del seminario saranno presentati i risultati di una ricerca realizzata dall’Università Tor Vergata con riferimento agli strumenti di finanza per l’economia sociale e alle esperienze realizzate in diversi Paesi europei: Regno Unito, Svizzera, Austria, Portogallo, Romania e Italia.
L’obiettivo del seminario è quello di discutere, con tutti i relatori presenti, delle prospettive di applicazione di questi strumenti finanziari e delle possibili politiche locali.
Sarà possibile partecipare all’incontro grazie alla diretta streaming, collegandosi dalle 10 alle 13 all’indirizzo www.fondazioneifel.it. Sarà inoltre possibile interagire con gli esperti attraverso una chat dedicata.
Via libera della Conferenza Stato-Città a maggiori investimenti in edilizia scolastica. È stato approvato nella riunione del 14 aprile il DPCM che assegna a oltre 1500 enti locali, in massima parte comuni, 480 milioni di euro di maggiori spazi di investimento per edilizia scolastica.
Viene cosi attuata una importante previsione della Legge di stabilità che permette di escludere dagli obblighi di pareggio del bilancio 2016 consistenti quote di spese di investimento degli enti locali per la manutenzione, la messa in sicurezza e la realizzazione di scuole dell’infanzia, elementari, medie e superiori in tutto il territorio nazionale.
Sono state accolte richieste relative a più di 3.500 progetti di investimento, di cui 285 per l’intero importo richiesto (circa 180 milioni di euro), riguardanti opere già avviate nelle precedenti fasi dei programmi di sostegno dell’edilizia scolastica, e oltre 3.200 nuovi progetti per il 44% circa dell’importo richiesto, pari a ulteriori 378 milioni.
Nel complesso i comuni potranno utilizzare, nel 2016, spazi finanziari aggiuntivi per quasi 400 milioni di euro, a sostegno di lavori, programmati o in fase di realizzazione, diffusi nei territori.
Tabella 1. Ripartizione spazi finanziari concessi per tipologia di ente
Oltre il 60% degli importi assegnati ai comuni si riferiscono a enti del Nord Italia. Si segnala, tuttavia, la buona performance dei comuni del Centro e del Sud (rispettivamente il 15 e il 23 % circa delle assegnazioni). È, inoltre, nei comuni del Centro che si evidenzia il maggior importo medio di spazi finanziari concessi (345mila euro), mentre nei comuni del Nord l’importo medio scende a 255mila euro.
Tabella 2. Ripartizione spazi finanziari concessi per macro area regionale di appartenenza dei comuni
Rispetto alla ripartizione per taglia demografica, nei comuni fino a 5mila abitanti si concentra il maggior numero di enti beneficiari (43% del totale). Va segnalato il dato dei comuni con meno di 1.000 abitanti, chiamati per la prima volta a confrontarsi con i vincoli di finanza pubblica. È invece nei comuni con popolazione compresa tra i 5.001 e i 10mila abitanti che si osserva il maggior ammontare di spazi finanziari concessi (90,5 milioni di euro, pari al 23% ca. del totale).Fonte: elaborazione Ifel su dati SMES
L’importo medio degli spazi finanziari concessi cresce all’aumentare della dimensione demografica dei comuni: nei comuni con meno di mille abitanti gli spazi finanziari concessi ammontano, mediamente, a poco meno di 63mila euro, mentre nei comuni con oltre 250mila abitanti tale valore supera i 5milioni di euro.
Tabella 3. Ripartizione spazi finanziari concessi per taglia demografica dei comuni
Sempre nella riunione del 14 aprile, la Conferenza Stato-Città ha approvato il DPCM che assegna, a 7 comuni, poco meno di 16 milioni di euro (rispetto ai 20 milioni di euro stanziati) di maggiori spazi di investimento per interventi di bonifica ambientale conseguenti ad attività mineraria.
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Pagamenti della p.a. monitorati solo per un terzo degli uffici. Sono infatti 7.400 gli enti «attivi» sulla piattaforma per il monitoraggio dei crediti commerciali verso le pubbliche amministrazioni, con un tempo di pagamento medio di 44 giorni.
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All'appello mancano ancora due terzi dei circa 20 mila soggetti potenzialmente coinvolti, che il Governo conta di arruolare entro la fine di quest'anno. È questo uno degli obiettivi qualificanti del Documento di economia e finanza 2016 (Def), che fa il punto su uno dei capisaldi dei programmi di riforme dell'attuale esecutivo e di quelli precedenti, ossia l'accelerazione dei tempi con cui le pubbliche amministrazioni saldano le fatture a loro carico. Il Def si concentra sul bicchiere mezzo pieno, evidenziando come il tempo medio di pagamento sia abbastanza accettabile, specie se paragonato alle attese bibliche cui i fornitori erano costretti fino a pochi mesi fa: 46 giorni, che scendono a 44 per gli enti che intervengono su oltre il 75% delle fatture registrate a loro indirizzate. Questi ultimi, qualificati come attivi, sono, come si diceva, 7.400 e in alcuni casi pagano anche prima dei 30 giorni previsti dalle direttive europee. Anzi, come evidenzia il Def, a marzo 2016 i virtuosi sono saliti da 300 a 500. Ma il bicchiere è mezzo vuoto se si guarda alla restante platea degli enti «non virtuosi», che non registrano i loro dati in piattaforma, impedendo quindi di avere una visione esaustiva del quadro. Al riguardo, il Def fissa l'obiettivo di disporre delle informazioni di pagamento sul 90% delle fatture registrate entro la fine del 2016 e sul 99% entro il 30 giugno 2017. Considerando il numero delle amministrazioni coinvolte (circa 20 mila), il completamento dell'adesione al sistema e alla programmazione delle attività d'implementazione dei servizi - in coerenza con il piano di crescita digitale - dovrà avvenire entro dicembre 2016. Un ulteriore, importante contributo allo «sblocca-debiti» potrebbe arrivare grazie al superamento del Patto di stabilità interno, da sempre indicato come la principale causa dei ritardi e anche per questo cancellato dall'ultima manovra. In questa prospettiva, diventa essenziale, per evitare che ciò che è uscito dalla porta rientri dalla finestra, completare la modifica della legge attuativa del pareggio di bilancio (legge 243/2012). Al riguardo, la road map tracciata dl Def indica in luglio 2016 il termine per l'approvazione, da parte del Parlamento, del ddl varato nelle scorse settimane
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Un Comune su due continua a non rispettare le regole sui pagamenti alle imprese.
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In pratica su 117 Comuni capoluoghi di provincia, quasi la metà (45 per l'esattezza) salda le fatture oltre i trenta giorni previsti dalla legge, mentre uno zoccolo duro di 12 enti locali addirittura resiste a qualsiasi operazione verità e non comunica nulla sui tempi di attesa per i pagamenti. A tre anni di distanza dall'operazione sbloccadebiti il quadro dei ritardi a cui vanno incontro le aziende fornitrici della Pa è ancora fosco. Certo le fatture più vecchie sono state per la maggior parte smaltite, soprattutto nel 2014 (con un appesantimento dei tempi di pagamento). Ma i dati 2015 dimostrano che il problema dei ritardati pagamenti, che spesso è la causa primaria di tanti fallimenti aziendali, non si è affatto esaurito e, anzi, continua anche con i nuovi contratti. «Il Sole 24 Ore» ha stilato la classifica dei ritardi di tutti i Comuni capoluogo di provincia basandosi su un dato ufficiale: l'indicatore annuale di tempestività dei pagamenti che, in base alle norme sulla trasparenza, ogni amministrazione deve calcolare in modo uniforme e pubblicare sul proprio sito, entro il 31 gennaio di ogni anno. Rispetto alla stessa classifica elaborata lo scorso anno, (si veda «Il Sole 24 Ore» del 20 aprile 2015), la situazione è migliorata. Nel 2014 infatti erano 61 i Comuni che pagavano oltre i 30 giorni previsti per legge dal decreto contro i ritardi nei pagamenti. Nel 2015 il numero è sceso a 45. E, più in generale, le realtà che sono migliorate (in verde nella tabella a fianco) sono 65, contro i 41 in peggioramento (in rosso). In 18 capoluoghi poi le imprese possono addirittura contare su pagamenti in anticipo rispetto alle scadenze le proprie fatture (Verona la più veloce). Ma nulla è cambiato sul fronte dell'opacità: anche quest'anno sono 12, esattamente come lo scorso anno, i Comuni che a più di 40 giorni dalla scadenza non hanno ancora reso nota la propria puntualità. Solo due sono ""recidivi"": si tratta di Aosta e Cosenza. Tutti, con questo ""trucchetto"" ottengono anche il paradossale beneficio di immagine di non figurare nell'elenco dei cattivi pagatori. Tra chi correttamente dichiara i tempi (anche se a volte con ritardo, persino nell'aggiornamento) le attese restano pesanti: il 48% infatti supera i 30 giorni in media. In testa all'elenco quest'anno c'è il comune di Benevento, passato dal secondo al primo posto dei ritardatari: un'impresa qui attende in media otto mesi 244 giorni per vedersi riconosciute le spettanze (si veda l'articolo in basso). Non cambia molto a Potenza, che con i suoi 224 giorni di ritardo conquista il poco invidiabile secondo posto, anche se può comunque contare su una forte riduzione (115 giorni in meno) rispetto al 2014. Seguono, distaccati, Pescara, Terni, Isernia e Ascoli Piceno. La black list dei cattivi pagatori comprende anche alcune città di primo piano: Roma (57,5 giorni), Reggio Calabria a quota 93, ma in forte recupero (si veda l'articolo in basso), Campobasso (87) e Perugia (74). Dietro a queste lentezze non c'è solo l'inefficienza della macchina burocratica o la crisi di liquidità degli enti: a volte, a rallentare la liquidazione contribuiscono i ritardi con cui vengono trasferiti i fondi ai Comuni, oppure i vincoli del patto di stabilità che, almeno prima della riforma 2016, impedivano di pagare i fornitori anche a chi aveva risorse in cassa.
Le sanzioni in arrivo L'indicatore di tempestività dei pagamenti non ha avuto finora vita facile. Previsto dal decreto trasparenza (Dlgs 33/2013) è stato rafforzato nel 2014, collegandolo a precise sanzioni. In pratica, tutti gli enti che nel 2014 mostravano un indice superiore ai 90 giorni si sono visti bloccare le assunzioni. Ma la Corte costituzionale ha spazzato via questa norma (si veda «Il Sole 24 Ore del 23 dicembre 2015») in senso retroattivo. Di fatto depotenziando lo strumento. Ora però le cose stanno di nuovo per cambiare. Uno dei decreti attuativi della riforma Madia, quello sulla trasparenza, introduce una nuova sanzione, stavolta pecuniaria. Chi dimentica di pubblicare sul sito «i dati sui pagamenti» rischia una ammenda che parte da 500 ma può arrivare fino a 10mila euro. Chissà se, almeno per la sanzione, il pagamento sarà più veloce.