Si può già tentare un primo bilancio, che a sentire gli addetti ai lavori per la verità è piuttosto deludente. Non tanto per il numero delle istanze presentate, che è comunque ancora basso - alla data del 27 ottobre erano 73.224 per un controvalore di 7,6 miliardi - quanto, soprattutto, per le risposte delle Pa debitrici e per le operazioni successivamente andate a buon fine con una banca. Per questo piano, in seguito al decreto legge 66, la Cassa depositi e prestiti, alla quale le banche possono a loro volta in ultima istanza cedere il credito, ha messo a disposizione per le spese correnti un plafond di 10 miliardi, finora superiore alla domanda. Le imprese registrate alla piattaforma di certificazione sono 18.950, con un trend in ascesa, ma siamo comunque al di sotto delle previsioni tanto che qualcuno ipotizza una riapertura dei termini (da inserire magari nella legge di stabilità).
Quanto alle risposte delle Pa, il ministero dell'Economia non ha ancora reso noti i dati delle istanze accolte (le amministrazioni hanno 30 giorni di tempo, poi può essere nominato un commissario ad acta). Ma abbondano le segnalazioni di imprese che hanno ricevuto contestazioni dagli enti debitori, in alcuni casi con note tecnicamente dettagliate, in molti altri con motivazioni che difficilmente possono rientrare nella categoria del «diniego puntualmente motivato» come prescrive il Dl 66. Le aziende più fortunate, che hanno già in tasca la certificazione, possono chiedere di cedere il credito in modalità pro-soluto ad un tasso di sconto massimo pari all'1,9% per importi fino a 50.000 euro e all'1,6% per somme superiori.
Ma a quali banche possono rivolgersi? Si tratta di uno dei punti più controversi, che finora ha impedito il decollo del piano. La partenza è stata decisamente lenta e in alcune regioni le cessioni già effettuate sarebbero praticamente pari a zero. Per gli istituti di credito rilevare il credito è solo facoltativo e dallo stesso mondo bancario si fa notare come siano ancora pochi i soggetti che hanno firmato delle operazioni, in sostanza solo i grandi gruppi e poche realtà di media taglia e comunque solo in una parte degli sportelli. Le banche più piccole radicate sul territorio hanno un costo della raccolta più alto, e sono dunque scoraggiate dal tasso di sconto massimo, senza contare il fatto che spesso non hanno know how adeguato per allestire in fretta un servizio, quale la cessione in modalità pro-soluto, che normalmente esula dal loro core business.
Gli ambienti bancari sottolineano che in alcuni casi il servizio diventerà disponibile a breve e si è lavorato per semplificare la vita alle imprese ad esempio con un contratto di sconto standard. Al tempo stesso, però, filtra preoccupazione per alcuni aspetti normativi irrisolti. Il nodo principale si chiama Durc (documento unico di regolarità contributiva) ed è relativo al fatto che le Pa, al momento della certificazione, non sono tenute a verificare gli oneri contributivi che sono ancora a carico delle imprese. Di conseguenza la banca che acquisisce il credito, al momento di incassare dall'amministrazione, rischia di ritrovarsi con una somma decurtata del debito contributivo che non era emerso nella fase iniziale. Un pericolo considerato troppo alto dalla maggior parte delle banche, con il risultato che buona parte del piano sblocca-debiti del governo Renzi resta di fatto congelato.