Che Moavero fosse convinto che la premessa allo sblocco dei crediti fosse la stabilità dei conti, non è comunque un mistero. Già in occasione della conferenza stampa subito dopo il Consiglio dei ministri che aveva varato l'agognato provvedimento, il ministro aveva dichiarato come grazie al risanamento il governo avesse finalmente ottenuto quella flessibilità necessaria a «effettuare i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione». «All'azione del governo», aveva aggiunto ancora Moavero, «va riconosciuta l'individuazione di aree e di spazi in cui è possibile effettuare azioni positive per il sostegno all'economia» pur mantenendo «un deficit contenuto». La possibilità di procedere a ulteriori tranche di pagamenti era stata poi ventilata in un'audizione dei giorni scorsi anche dal ministro dell'Economia Vittorio Grilli, che però non si era sbilanciato su un eventuale intervento sul deficit-pil. Nell'attesa di sviluppi, dallo stesso Tesoro è arrivata però una doccia fredda per tutte quelle imprese che vantano crediti con il Fisco. Parlando in audizione alla Camera, il direttore studi e ricerche del dipartimento delle Finanze, Giovanni D'Avanzo, ha sottolineato l'insostenibilità di una compensazione fiscale (quando un'impresa ha un debito col Fisco e al contempo un credito con la Pa) illimitata, perché sarebbe di importo «eccessivo per le amministrazioni, probabilmente di 30-40 miliardi». Secondo il dirigente «raggiungerebbero infatti circa un quinto del gettito che proviene da tutte le imprese» stimate in 190 miliardi circa. Tornando a Moavero, il ministro ha infine sottolineato la «grande fiducia sulla capacità» dell'Italia di «procedere» nel solco della democrazia, così come «dimostra anche l'andamento dello spread».