Pur tra difficoltà, il cammino prosegue. Potrebbe essere questa la sintesi della terza riunione del Comitato di sorveglianza e accompagnamento dell'attuazione dei Programmi 2014-2020, presieduto dal Direttore Generale dell'Agenzia per la coesione territoriale Maria Ludovica Agrò e dal Capo Dipartimento per le politiche di coesione Vincenzo Donato e riunito a Roma nel Salone delle Quattro Fontane lo scorso 20 luglio alla presenza dei rappresentati della Commissione Ue, delle autorità di gestione dei programmi, del partenariato istituzionale (Anci e Upi) e di quello sociale ed economico. Obiettivo dell'incontro era fare una verifica strategica, a due anni dall'avvio, degli interventi concordati tra Italia e Europa nell'Accordo di Partenariato 2014-2020 (AdP). Sotto la lente del Comitato i 75 programmi operativi della coesione, che prevedono un volume di investimenti pari a 73,6 miliardi di euro, di cui 42,5 miliardi di risorse Ue(Fesr, Fse, sviluppo rurale Feasr e pesca Feamp), e 31 miliardi di cofinanziamento nazionale obbligatorio.
Prime evidenze
Nel corposo dossier, distribuito ai partecipanti, disponibile on line , si dà notizia di tutti i principali aspetti attuativi e gestionali della programmazione: dal tasso di progetti selezionati a valere sugli 11 obiettivi tematici dell'AdP all'avanzamento procedurale dei programmi e connessi adempimenti (designazione autorità); dagli avanzamenti di spesa (costi rimborsati) agli obiettivi da conseguire per scongiurare il “disimpegno” delle risorse, i cui ‘automatismi' scatteranno a dicembre 2018 (prima data di chiusura parziale dei Po; dal monitoraggio della strategia nazionale di «specializzazione intelligente» (S3) al lavoro fatto per raccordare programmi nazionali (Pon) e regionali (Por), e di quello ancora da fare; dallo stato dei ‘grandi progetti' infrastrutturali a quello degli interventi di rafforzamento della capacità amministrativa (Pra); da come siano state programmate le risorse addizionali (pari a 1,645 miliardi di euro) riconosciute all'Italia per effetto della revisione Eurostat dei criteri allocativi della politica di coesione all'elenco dei programmi complementari approvati a valere di fondi nazionali (ex legge 183/1987 e Fondo sviluppo e coesione – Fsc) e tanto altro ancora (performance framework, relazione ex articolo 52 del regolamento Ue 1303\2013, opencoesione, comunicazione ai cittadini, eccetera). Per rimanere ai dati sintetici più significativi in questa fase, il costo dei progetti selezionati per i Programmi Fondo Europeo Sviluppo Regionale e Plurifondo al 30 giugno 2017 era pari al 34,1%, per un valore di investimenti intorno ai 16 miliardi di euro; con i Programmi Operativi Regionali in leggero vantaggio (36,4%) rispetto ai Programmi Operativi Nazionali (28,8%). Il dato è positivo e risulta superiore a quello fatto registrare dalla media dei PO in tutti i Paesi Ue! Sul versante finanziario, invece, le spese certificate al 18 luglio 2017 risultano pari a 650 milioni di euro (di cui 329 per Iniziativa Occupazione Giovani), che rappresentano un tasso di assorbimento intorno al 2% delle risorse a disposizione. Mentre gli obiettivi di certificazione ammontano a 1.1 miliardo per il 2017 ed a 8,7 miliardi per il 2018. Il dato è largamente sotto le attese e fa emergere le difficoltà che ancora minacciano questa politica. Naturalmente ogni valutazione sullo stato dell'arte del processo attuativo deve considerare almeno quattro fattori: a) la ritardata approvazione dei regolamenti che reggono il sistema di programmazione, gestione e controllo dei fondi (slittamento di un anno); b) i conseguenti ritardi nell'approvazione Ue dei programmi operativi (slittamento aggiuntivo di un altro\due anno\i); c) l'impegno profuso dalle amministrazioni nazionali e regionali per completare entro marzo 2017 la rendicontazione delle risorse del ciclo 2007-2014 (con un tasso di certificazione pari al 101% del totale, di trovano i dettagli anche nel documento diffuso); d) i tempi delle laboriose operazione di avvio dei nuovi Po, normalmente più lente in fase di avvio dei ciclo.
L'agenda territoriale
Una nota a parte, dal punto di vista degli enti locali, meritano le informazioni messe a disposizione sul tema dello sviluppo urbano sostenibile (Sus), di cui all'articolo 7 del regolamento Fesr 1301\2013. Com'è noto, tale tema è definito attraverso un programma nazionale dedicato alle 14 città metropolitane (Pon Metro) ed all'interno di Assi dedicati nei programmi operativi regionali (Por), i cui beneficiari risultano essere le cosiddette città “medie”, titolari peraltro -in molti casi- di deleghe gestionali conferite dalle autorità di gestione dei relativi Po. Il totale delle risorse finanziarie allocate per le strategie Sus ammontano a circa 2,4 miliardi di euro, di cui 892,93 milioni di euro per il Pon Metro e 1,5 miliardi di euro programmati all'interno dei Por. Tutte le Regioni italiane, fatta eccezione per Valle d'Aosta Trentino Alto-Adige e Lazio, hanno stanziato per Sus risorse in percentuale variabile, da un minimo dell'1,8% della Puglia ad un massimo del 12% di Veneto e Molise, comunque pari -in media- al 6% delle risorse a disposizione del fondo (Fesr). Il tasso di riserva Sus era fissato dall'art.7 ad un minimo del 5% della dotazione Fesr. Considerato il Pon Metro le risorse per SUS si attestano al 9,2% della dotazione complessiva (al netto delle risorse stanziate con il Fsc nell'ambito dei Patti per lo sviluppo). Nella programmazione precedente, l'Asse urbano del Quadro strategico nazionale 2007-2014 raccoglieva il 7,2% della dotazione complessiva. Sul versante dell'avanzamento procedurale, dal confronto dei dati a disposizione si registra a gennaio 2017 la conclusione dell'iter approvativo delle strategie Sus solo per poche regioni, mentre per il grosso si prevede una chiusura a dicembre 2017.Nel Pon Metro, invece, tutte le autorità urbane interessate hanno concluso l'elaborazione dei Piani operativi e stanno avviando i primi progetti da portare a rendicontazione. Purtroppo a livello di assi urbani nei programmi regionali si osservano procedure diversificate da Regione a Regione: preselezione delle aree urbane codificate dal programma operativo, procedure di selezione competitiva, procedura ‘mista' con preselezione nel PO e successivo mando. Tale frammentazione non aiuta certo a definire un quadro di sistema dell'Agenda urbana nazionale (Aun) che dovrebbe andare costruendosi nel nostro Paese, in linea con gli indirizzi dell'omologa agenda europea (Aue).
La strategia nazionale «aree interne»
La strategia nazionale per le «aree interne» (Snai) è la grande assente nelle comunicazioni rese al Comitato dalla autorità nazionali sulla politica di coesione. Non una riga delle 211 slide distribuite fa cenno a Snai. Eppure è un importante investimento che il Paese sta facendo sulle sue aree rurali e sui piccoli comuni, ubicati lontani dai poli di erogazione dei servizi fondamentali (salute, istruzione, mobilità) ed a gravissimo rischio di spopolamento. Unico caso in Europa, Snai rappresenta una sperimentazione originale attraverso cui, per frenare l'abbandono di parti consistenti del territorio nazionale, si prova a coniugare interventi per lo sviluppo economico locale e la creazione di occupazione, con azioni contestuali di potenziamento dei servizi di cittadinanza. Alla sperimentazione partecipano 1066 Comuni (oltre il 13% dei Comuni italiani, per lo più di piccole dimensioni demografiche), organizzati in 71 «aree progetto» (comprese le cinque interessate dai recenti fenomeni sismici); le aree sono composte da una media di 15 Comuni con una popolazione media di poco più di 29.000 abitanti, per un totale pari al 3,5% della popolazione nazionale (2 milioni e 100 mila abitanti al 2011) che vive su circa il 16,7 % di territorio nazionale. Il tasso di spopolamento di questi territori è stimato nel periodo 2001-2011 intorno a -4,2% a fronte del -2,1% a livello nazionale. Fra risorse allocate dalle leggi di stabilità 2014, 2015 e 2016 e i fondi assicurati dai programmi regionali Fesr, Fse e Fears il volume complessivo di investimenti pubblici attivato è stimato intorno a circa 600\700 milioni di euro.
di Francesco Monaco - Capo Dipartimento Fondi Europei e Investimenti Territoriali IFEL