Nel caso esaminato dalla Ctr, l'ente ricorrente ha avanzato il diritto alla restituzione di quanto versato a titolo di Imu 2012, sostanzialmente ritenendo che l'attività di locazione, poiché svolta per finalità sociali e dietro il pagamento di un canone esiguo, rientra a pieno titolo tra le attività esenti ex art. 7, dlgs 504/1992. A ben vedere, come rilevato dai giudici d'appello, il legislatore tributario ha previsto (sino al 2013) una specifica tassazione, ai fini Imu, per detti immobili, in tal modo intendendo evidentemente escluderli dall'esenzione di cui all'art. 7 cit. In particolare, l'art. 13, c. 10, dl 201/2011, conv. in legge n. 214/2012, stabilisce espressamente per gli immobili degli enti per l'edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, destinati ad alloggi sociali, la soggezione a Imu con l'applicazione della detrazione d'imposta di 200 euro. La specialità di tale disciplina comporta inevitabilmente l'esclusione dal novero degli immobili che possono accedere all'esenzione di cui all'art. 7 cit. A ciò si aggiunga che l'attività svolta non è attività ricettiva così come prevista dall'art. 7 cit., bensì vera e propria locazione. La ricettività sociale cui l'art. 7, infatti, consiste in attività di accoglienza e di servizi offerti e svolti direttamente dal proprietario degli immobili nei confronti di determinate categorie svantaggiate mentre non è, né può essere considerata tale, quella consistente nella locazione di immobili (seppur per finalità sociali) venendo meno, in tale caso, l'utilizzo diretto. Per il diritto vivente, infatti, l'art. 7 esige, in considerazione anche della natura derogatoria e quindi di stretta interpretazione delle norme di esenzione, la duplice condizione della utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente che ne abbia il «possesso» e dell'esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito: occorre, pertanto, per quanto riguarda il profilo soggettivo, che gli immobili siano posseduti dall'ente non commerciale, utilizzatore, cioè che vi sia coincidenza tra ente proprietario (o titolare di altro diritto reale sul bene) ed ente che utilizza l'immobile stesso. In particolare, per il diritto vivente, l'attività di locazione di immobili, seppure per finalità sociali, non rientra tra le attività «ricettive» così come previste dalla norma di esenzione. Per il giudice di legittimità, infatti: «... La condizione della immediata e diretta destinazione voluta dalla norma, non è, mai, ravvisabile nei casi di immobili locati perché il bene è utilizzato (dal conduttore e/o concessionario del godimento) per attività (abitazione) di carattere indiscutibilmente privata, costituente un mero effetto o una mera conseguenza dell'attività svolta dall'ente medesimo... Alla stregua del chiaro ambito applicativo della norma di favore ne consegue che in caso di utilizzazione "indiretta" qual è la locazione, pur se assistita da finalità di pubblico interesse, l'art.7, c. 1 lett. a) non può trovare applicazione» (ex multis, Cass. sent. n. 8872 del 04/05/2016; Cass. sent. n. 10483 del 20/05/2016; Cass. sent. n. 5046 del 13/03/2015). In tali casi, ha sottolineato la Cassazione, non ha alcuna rilevanza la natura giuridica dell'ente e la sua qualità di soggetto passivo di imposizione astrattamente possibile destinatario dell'esenzione ma il fatto che, in concreto, l'utilizzo degli immobili de quibus non risponda alle condizioni previste dalla legge per l'operatività dell'esenzione medesima, risultando, di conseguenza, irrilevante anche che i proventi della locazione siano poi destinati alle attività istituzionali dell'ente. Maria Suppa Avvocato tributarista, membro Osservatorio tecnico e docente esclusivo Anutel