La norma sull'Imu, estensibile alla Tasi, contempla l'ipotesi dei componenti del nucleo familiare distribuiti in due immobili situati nello stesso comune: in questo caso l'esonero spetta solo a una delle due abitazioni. E ciò dovrebbe costituire un'eccezione alla regola che attribuisce rilevanza alla convivenza familiare, imponendo la dimora abituale e la residenza del possessore e del «suo nucleo familiare». La norma non disciplina, invece, il caso del nucleo familiare con residenza in immobili ubicati in comuni diversi. Secondo l'interpretazione ministeriale (circolare n. 3/2012 e Faq 20 gennaio 2014) in tal caso i benefici si raddoppiano, quindi l'esonero scatta per entrambi gli immobili. Si tratta di una conclusione da valutare con attenzione perché in contrasto con il tenore della norma, che non disciplina questa ipotesi e prevede un'unica eccezione: quella dei coniugi residenti in immobili diversi, ma situati nello stesso comune. Pertanto, non dovrebbe sussistere il diritto all'esonero per nessuna delle due abitazioni, anche perché la norma non può essere interpretata estensivamente néè possibile applicare la misura agevolata per uno dei due immobili (prevista solo nel caso di ubicazione degli immobili nello stesso comune). La questione è tuttora controversa e divide gli interpreti: da una parte si colloca l'orientamento più rigoroso, di matrice giurisprudenziale (Cassazione 14389/2010), che attribuisce rilevanza decisiva alla convivenza familiare; dall'altra l'interpretazione meno formalistica, che configura l'abitazione principale anche se il nucleo familiare risiede in immobili ubicati in Comuni diversi, circostanza giustificabile per esempio da esigenze lavorative (circolare 3/DF/2012). La prima tesi appare più coerente con la nuova definizione di abitazione principale, più restrittiva rispetto alla disciplina Ici e ancorata alla dimora/residenza dell'intero nucleo familiare, condizione indispensabile per accedere al trattamento agevolato, che oggi si traduce in esonero totale da Imu e Tasi. Il dipartimento delle Finanze, con le Faq del 20 gennaio 2014, sostiene che il criterio interpretativo dettato dalla Cassazione con la sentenza n. 14389/2010 non può essere utilizzato per l'Imu perché «la norma tributaria dispone chiaramente in materia». Ma la disposizione sull'abitazione principale si presta a una lettura restrittiva, considerato l'espresso riferimento alla convivenza del nucleo familiare, invece assente nella disciplina Ici. In sostanza la ratio della norma è quella di arginare il fenomeno elusivo determinato dalle doppie residenze acquisite dai coniugi in immobili diversi al solo fine di beneficiare delle agevolazioni previste dalla legge, configurando così un abuso di diritto. I Comuni dovrebbero quindi verificare che lo sdoppiamento della residenza sia causato da una frattura del rapporto coniugale o da altre ragioni (in particolare per esigenze di lavoro), tutte opportunamente documentate e riscontrate. Escludendo così che lo sdoppiamento sia dettato da una mera convenienza, come per la seconda casa al mare o in un luogo turistico. In questo caso, trattandosi di un'ipotesi di abuso del diritto, il Comune deve notificare al contribuente una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni (articolo 10bis legge 212/2000). Al momento è l'unico caso in cui scatta l'obbligo del contraddittorio preventivo con il contribuente, in genere escluso per i tributi locali (si veda la sentenza della Cassazione Sezioni Unite n. 24823/2015) in attesa comunque che sulla questione si pronunci la Corte Costituzionale.