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Chi inquina paga. Tutto sulla Tares - Avvenire del 25 settembre del 2013

  • 25 Set, 2013
Pubblicato in: Entrate e Riscossione
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Nonostante sia in vigore già dal 1° gennaio di quest'anno in sostituzione della Tarsu (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), della Tial (tariffa di igiene ambientale) e della Tia2 (tariffa integrata ambientale), la Tares, il nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi indivisibili stenta a trovare una sua configurazione; l'articolo 14 del D.L. 201//2011 che l'ha istituita, infatti, è stato più volte modificato.

 

L'ultimo ritocco è quello apportato dal comma 4 dell'articolo 5 del D.L. 102 del 31 agosto scorso (in corso di conversione inlegge) che, insieme all'articolo 10, comma 2 del D.L. 35/2013 detta tral'altro-una disciplina valida solo per questo primo anno di applicazione del tributo, scelta che non aiuta certo a fare chiarezza. Il principio ispiratore della Tares dovrebbe essere quello di garantire con il suo gettito la completa copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani e di quelli assimilati avviati allo smaltimento e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Inoltre, attraverso la costruzione di tariffe commisurate alla quantità e alla qualità dei rifiuti prodotti dagli utenti si dovrebbe dare applicazione al principio europeo «chi inquina paga». Almeno per il 2012 questi due obiettivi sono difficilmente raggiungibili, considerate le oggettive difficoltà applicative da parte dei comuni e le numerose deroghe alla disciplina prevista a regime. 1) L'ambito soggettivo e oggettivo. È soggetto al tributo «chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani»\ nel caso in cui più soggetti utilizzino in comune i locali o le aree è previsto siano solidamente responsabili. Nel caso di occupazioni di durata non superiore a sei mesi nel corso dello stesso anno il tributo è dovuto soltanto dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, superficie; lo scopo di questa eccezione al principio generale di solidarietà è evidentemente quello di evitare l'evasione del tributo causata dall'impossibilità di accertare il soggetto occupante, rendendo responsabile il proprietario dell'immobile. Sono escluse dalla tassazione, ad eccezione delle aree scoperte operative (cioè quelle utilizzate nell'ambito di attività economiche e produttive), le aree scoperte pertinenziali o accessorie alocali tassabili e le aree comuni condominiali, a condizione che non siano detenute o occupate in via esclusiva. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha precisato che tra le aree scoperte non soggette a tassazione rientrano le aree adibite a verde (cfr. Circ. l/DF/2013). 2) I regolamenti comunali. In forza della potestà regolamentare prevista dall'articolo 52 del decreto legislativo 446/1997 i comuni determinano, attraverso l'adozione di un regolamento: a) la classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti, b) la disciplina delle riduzioni tariffarie, c) la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni, d) l'individuazione di categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell'obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all'intera superficie su cui l'attività viene svolta, e) i termini di presentazione della dichiarazione e di versamento del tributo. Il consiglio comunale, inoltre, deve approvare le tariffe del tributo entro il termine fissato dalle norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione (è ormai prassi che il termine venga più volte prorogato; per il 2013 è fissato al 30 novembre; cfr. art. 8, coma 1, D.L. 102/2013). Il comune deve designare il funzionario responsabile a cui sono attribuiti tutti i poteri per l'esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale, compresa la rappresentanza in giudizio per le controversie relative al tributo stesso. 3) La tariffa e la maggiorazione. Il tributo è stabilito in base ad una tariffa - stab il ita da c iascun comune in sede regolamentare - che deve essere calcolata: - con riferimento alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, - in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte, - sulla base dei criteri di cui al D.P.R. 158/1999 (cosiddetto "metodo normalizzato"). continua a pagina 2 segue dalla prima pagina Per il solo anno 2013 il D.L. 102 del 31 agosto scorso ha però previsto la possibilità di ulteriori criteri; tuttavia, considerato che i comuni hanno già provveduto ad approvare regolamento e tariffe è probabile che queste differenti modalità di costruzione della tariffa restino di fatto solo possibilità teoriche. La tariffa è composta da due elementi: - una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ad ai relativi ammortamenti; - una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione. Alla tariffa si applica, inoltre, una maggiorazione standard pari a 0,30 euro per metro quadrato a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, aumentare questo importo fino a 0,40 euro, anche differenziando l'aumento in base alla tipologia dell'immobile e della zona. Questa maggiorazione è destinata alla copertura di alcuni servizi non a domanda individuale, quali i servizi di sicurezza, di illuminazione e gestione delle strade. Limitatamente al 2013 è però stabilito che la maggiorazione - non potrà essere aumentata da parte dei comuni, - dovrà essere versata allo Stato, in unica soluzione, unitamente all'ultima rata della Tares (comunque non oltre il 16 dicembre 2013; cfr Ris. 9 settembre 2013) utilizzando il mod. F24 o il bollettino di conto corrente postale approvato con D.M. 14 maggio 2013 che i comuni recapiteranno ai contribuenti. I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono prevedere, con regolamento, l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo. I comuni che adottano la tariffa corrispettiva sono tenuti ad applicare comunque il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi limitatamente alla componente diretta alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili, cioè la maggiorazione di 0,30 euro al metro quadrato (eventualmente aumentabile, dal 2014, fino a 0,40 euro). 4) La base imponibile. Originariamente era stato previsto che la superficie assoggettabile al tributo per le unità immobiliari a destinazione ordinaria (gli immobili appartenenti alle categorie catastali A, B e C) fosse determinata sulla base delle risultanze catastali, ma ciò presupponeva la fruibilità da parte dei comuni di una serie di dati non ancora disponibili e l'allineamento tra i dati catastali e quelli riguardanti la toponomastica e la numerazione civica interna ed esterna. In attesa del completamento delle procedure di aggiornamento e allineamento dei dati catastali la superficie assoggettabile a tassazione è quella calpestabile, sia per gli immobili a destinazione ordinaria, sia per le altre unità immobiliari (gli immobili a destinazione speciale appartenenti alla categoria catastale D e quelli a destinazione particolare della categoria E). Nella determinazione delle superfici assoggettabili al tributo non si tiene conto di quella parte ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. 5) Le riduzioni. Sono previste alcune riduzioni e modulazioni della tariffa (che si applicano anche alla maggiorazione): - nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, il tributo è dovuto in misura non superiore al 40% della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita; - la tariffa deve essere modulata assicurando riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche; - nel caso di produzione di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero, alla tariffa deve essere applicato un coefficiente di riduzione proporzionale; - il tributo è dovuto nella misura massima del 20% della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili - impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall'autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all'ambiente. Inoltre i comuni possono prevedere, nei propri regolamenti, ulteriori riduzioni nella misura massima del 30%, nel caso di: - abitazioni con unico occupante (in molti casi è la situazione delle abitazioni dei sacerdoti), - abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo (rientrano in questa tipologia ad esempio, le abitazioni utilizzate come "foresterie" per alloggiare ospiti di passaggio; - locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente (è il caso, assai frequente, dei cine-teatro parrocchiali e dei bar degli oratori), - abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero; - fabbricati rurali ad uso abitativo. 6) La dichiarazione e i versamenti. Specificità degli enti ecclesiastici. Diversamente dall'Ici e dall'Imu, la Tares dovuta non deve essere determinata dai contribuenti ma dall'amministrazione comunale, che vi provvede sulla base dei dati comunicati dai proprietari o dagli utilizzatori. Per questo motivo i commi 33 e 34 dell'art. 14, D.L. 201/2011 trattano puntualmente della Dichiarazione che i soggetti passivi devono produrre, stabilendo che: - deve contenere i dati catastali e toponomastici (indirizzo) utili a individuare con precisione il fabbricato di cui si tratta, - deve essere presentata ogni qual volta ha inizio un nuovo possesso o una nuova detenzione del fabbricato, - ha effetto non solo per l'anno in cui è presentata ma anche per i successivi, fin quando non sopraggiunge una modifica dei dati precedentemente dichiarati, quali una nuova destinazione del fabbricato o un suo diverso utilizzo da parte del proprietario (per es. si apre un bar parrocchiale, si cede in comodato a tempo parziale la struttura sportiva, si chiude una sala cinematografica trasformandola in sala polifunzionale), - deve essere nuovamente presentata quando muta la situazione di fatto o di diritto, se ciò determina una rideterminazione dell'imposta (cfr. punto precedente); - non deve essere ripresentata se il cambiamento non incide sull'imposta (per es. cambia il sacerdote che utilizza il medesimo appartamento occupato dal precedente parroco). La norma nazionale nulla dispone, invece, riguardo al modello di Dichiarazione e le modalità e il termine entro cui deve essere presentata, rinviando a quanto disposto dal regolamento che ciascun comune deve adottare. Questa scelta del legislatore ha due conseguenze pratiche piuttosto rilevanti per gli enti ecclesiastici: non è possibile dare indicazioni univoche in ordine alla compilazione della Dichiarazione e ciascun ente ecclesiastico deve acquisire il regolamento Tares predisposto dal comune ove possiede fabbricati (con il relativo modello di Dichiarazione). Ciò però non impedisce né esime dal sottolineare alcune attenzioni che il responsabile dell'ente ecclesiastico deve avere. 1) Considerando che per l'anno 2013 il comma 35 dell'art. 14, D.L. 201/2011 prevede che l'amministrazione comunale liquidi l'acconto Tares assumendo come riferimento gli imposti versati a titolo di Tarsu, Tial e Tia2, si comprende quanto sia opportuno che l'ente ecclesiastico provveda a presentare una Dichiarazione nella quale siano inseriti i dati di tutti i fabbricati oggetto della nuova imposta (compresi quelli eventualmente esclusi o esenti). L'opportunità di questa scelta si spiega nel voler evitare un duplice rischio: che l'amministrazione comunale liquidi l'imposta a partire da dati errati e che la parrocchia possa incorrere nella violazione di "omessa dichiarazione" di cui al comma 40 dell'art. 14, D.L. 201/2011, qualora siano mutati i dati e le condizioni rispetto all'ultima Dichiarazione Tarsu. Per chiarezza: l'ente ecclesiastico che ha recentemente presentato la Dichiarazione o che è stata oggetto di un accertamento Tarsu-Tial-Tia2 può evitare di presentare una nuova dichiarazione Tares (il comma 9 prevede infatti che ai fini dell'applicazione del tributo si considerano le superfici dichiarate o accertate con riferimento ai suddetti tributi, ma solo a condizione che nulla sia mutato nella situazione di fatto e giuridica). 2) Non è infrequente che i fabbricati di proprietà dell'ente ecclesiastico siano utilizzati per una pluralità di attività (per es. il centro pastorale di una parrocchia - accatastato come unica unità immobiliare - ospita la segreteria parrocchiale, l'oratorio per i ragazzi, l'abitazione del parroco e il bar). In questo caso è necessario compilare con attenzione la Dichiarazione esplicitando per ciascuna attività i metriquadri utilizzati, in quanto saranno applicate tariffe diverse in ragione dell'utilizzo effettivo. Si deve infatti considerare che per la Tares non ha rilevanza la destinazione catastale ma l'uso o gli usi effettivamente realizzati nel fabbricato. 3) In alcuni casi il modello di Dichiarazione richiede che gli utilizzi dei locali non destinati ad abitazioni siano specificati anche riportando il rispettivo codice ATECO. È assai opportuna l'indicazione di questi codici, anche quando non esplicitamente richiesto, in quanto favorisce l'applicazione della tariffa corretta. A tal proposito si segnala che quello relativo alle attività di religione e culto è 94.91.00 (da indicarsi sempre), mentre quelli delle attività commerciali più frequentemente svolte dagli enti ecclesiastici sono: - 55.20.40 Colonie marine e montane, - 56.10.11 Ristorazione con somministrazione, - 56.30.00 Bar e altri esercizi simili senza cucina, - 85.10.00 Istruzione di grado preparatorio: scuole dell'infanzia, scuole speciali collegate a quelle primarie, - 85.20.00 Istruzione primaria: scuole elementari, - 85.31.10 Istruzione secondaria di primo grado: scuole medie, - 60.10.00 Trasmissioni radiofoniche, - 90.04.00 Gestione di teatri, sale da concerto e altre strutture artistiche, - 93.11.30 Gestione di impianti sportivi polivalenti. 4) Poiché la normativa nazionale prevede che i comuni possano introdurre ipotesi di riduzione o agevolazioni in presenza di determinate circostanze o condizioni (per es. qualora l'attività sia stagionale o di durata non superiore a un determinato numero di giorni) è necessario dare evidenza con precisione di queste situazioni. Per quanto riguarda le parrocchie si segnala il caso della sala cinematografica attiva solo il fine settimana o del bar parrocchiale aperto ogni giorno ma solo per poche ore. 5) Si suggerisce di indicare con precisione quali fabbricati sono adibiti a chiesa o a luogo di culto. 6) In Dichiarazione occorre indicare anche i fabbricati destinati ad abitazioni dei sacerdoti (anche se non accatastati in categoria A), siano essi appartamenti singoli oppure strutture destinate ad accogliere una piccola comunità (in tal caso occorre precisare anche il numero di sacerdoti presenti). Una certa attenzione deve essere riservata alle case religiose o ai seminari in quanto - diversamente dagli appartamenti - non vi è proporzione tra il numero di chi vi abita e la superficie della struttura: non è infatti infrequente che strutture davvero ampie siano ormai abitate da pochissimi religiosi-e/sacerdoti. Poiché la ratio della Tares è che l'imposta sia proporzionale alla quantità/ qualità dei rifiuti prodotti, è almeno opportuno che l'amministrazione comunale sappia - per esempio - che l'edificio di 2000 metri-quadri è abitato da una comunità di soli 5 consacrati! L'articolo 14 del D.L. 201/2011 prevede che a regime il versamento del nuovo tributo deve essere effettuato in quattro rate trimestrali, scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre; in sede di prima applicazione, però, la Tares ha vissuto un anno travagliato (modifiche annunciate, modifiche promesse, modifiche realizzate) da cui è derivato che le rate di pagamento dell'imposta 2013 si concentrano in questi mesi finali con scadenze determinate da ciascun comune e secondo il meccanismo dell'acconto e del saldo. Occorre inoltre c nsiderare che le rate in acconto saranno liquidate avendo come riferimento la Tares o la Tia dell'anno 2012 e solo la rata a saldo sarà determinata assumendo i dati presenti in Dichiarazione Tares. Si suggerisce, quindi, di attendere la rata a saldo per verificare la correttezza dell'imposta liquidata dal comune per l'anno 2013, evitando - in linea generale - di contestare gli importi in acconto. Occorre tra l'altro tenere presente che, per il solo anno 2013, i comuni (come ricorda la Ris. 9/DF/2013) hanno facoltà «di fissare nel corso dell'anno 2014 la scadenza o il pagamento di una o più rate del tributo dovuto e accertato contabilmente per l'anno 2013». Quando invece l'errore dipende dall'aver considerato di proprietà di un ente ecclesiastico un immobile ormai alienato è invece opportuno prendere contatto con l'amministrazione comunale già al ricevimento della prima rata in acconto. 7) Le sanzioni. In primo luogo occorre considerare che il co. 37 dell'art. 14 del DL n. 201/11 attribuisce ai funzionari responsabili il diritto di «inviare questionari al contribuente, richiedere dati e notizie a uffici pubblici ovvero a enti di gestione di servizi pubblici, in esenzione da spese e diritti, e disporre l'accesso ai locali ed aree assoggettabili a tributo, mediante personale debitamente autorizzato e con preavviso di almeno sette giorni» e sanziona l'eventuale mancata collaborazione del contribuente come "presunzione semplice" ex art. 2729 del codice civile in caso di accertamento e la mancata o infedele risposta (entro 60 giorni dalla notifica della richiesta) con la sanzione amministrativa da euro 100 a euro 500. Ben più significativa è la conseguenza per l'omessa presentazione della Dichiarazione: il co. 40 dell'art. 14, D.L. 201/2011 prevede la sanzione dal 100 per cento al 200 per cento del tributo non versato, con un minimo di 50 euro. Anche la dichiarazione infedele è punita: si applica la sanzione dal50% al 100% del tributo non versato, con un minimo di 50 euro. In caso di omesso o insufficiente versamento del tributo risultante dalla dichiarazione, la sanzione applicabile è del 30% dell'importo non versato. Le sanzioni sono ridotte ad un terzo se entro il termine per la proposizione del ricorso interviene acquiescenza del contribuente e pagamento del tributo (se dovuto), della sanzione e degli interessi. Il comune ha inoltre la facoltà di deliberare con il regolamento circostanze attenuanti o esimenti nel rispetto dei principi stabiliti dalla normativa statale.

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