La prima è certamente il principio, ripetutamente affermato, che il tributo o la tariffa dovessero coprire il costo del servizio. Basta solo ricordare che, per quanto riguarda la Tari, il comma 654 della legge di stabilità 2014, afferma che «in ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio». Un altro punto fermo, pure non privo di ambiguità e sbavature tecniche, è il suo metodo di calcolo, che bene o male è stato definito dal Dpr 158/1999 al quale si continua a fare riferimento ancora oggi. La richiesta di copertura integrale dei costi, però, viene di fatto elusa dal riaccertamento dei residui, e in particolare dal riaccertamento straordinario previsto dal Dlgs 118/2011. Infatti la radiazione dei residui di Tari, Tares, eccetera si traduce, in sostanza, nel portare a disavanzo la quota parte della Tari non riscossae quindi nel farne pesare l'onere non su chi fruisce del servizio bensì sulla fiscalità generale: di fatto, in questo modo il Comune che non si adopera per riscuotere il tributo come dovrebbe, con la radiazione dei residui Tari (o peggio ancora con il loro artificioso mantenimento in bilancio) confonde le sue responsabilità, evitando di rendere consapevole chi paga la Tari del fatto che sia costretto a finanziare il servizio anche per chiè moroso,e sacrificando altri servizi, magari altrettanto importanti, che priva delle risorse loro destinate (si veda anche Il Sole 24 Ore del 13 aprile). Fin qui le normae le loro contraddizioni che oggi vengono rese ancora più evidenti da un parere della Corte dei Conti, sezione di Controllo per la Toscana, che, con la sua delibera 73/2015, a un quesito di un Comune sulla correttezza dell'inserimento delle perdite (presunte e definitive) su crediti nel computo della tariffa, risponde negativamente, adducendo motivazioni varie (discontinuità dei tributi, interpretazione del Dpr 158/99, eccetera). In sostanza, senza entrare nel merito delle motivazioni, le conclusioni della Corte sono però dirompenti. Secondo la sezione, «ciascuna tariffa, infatti, deve essere costruita in modo da bastare a sé stessa, e non nascere già gravata da oneri pregressi (relativia crediti non incassati, originati da tributi risalenti e ormai soppressi), che avrebbero dovuto trovare idonea copertura nel quadro dei rispettivi regimi normativi, attraverso adeguati accantonamenti o maggiori previsioni di entrata». E, di conseguenza, «ove tali modalità di copertura siano risultate insufficienti (e dunque per la parte dei mancati ricavi non coperta da fondi rischi o da maggiori entrate), i minori incassi derivanti dalla mancata riscossione dei crediti maturati sotto il previgente regime si traducono in perdite definitive a carico del soggetto gestore (e cioè, nel caso di specie, la società in house affidataria del servizio)». È chiaro, però, che la tariffa può "bastare a se stessa", solo se la stessa non viene cambiata ogni pochi mesi, perché è nelle cose che gli insoluti si manifestino successivamente alla richiesta di pagamento del tributo, e che possano essere classificati come tali solo dopo un manifesto insuccesso nella loro esazione. Soprattutto, le «perdite definitivea carico del soggetto gestore», in particolare nel caso delle società in house, sono solo un altro modo di pesare sulla fiscalità generalee non sul servizio: la conseguenza sarà che le perdite finiranno col pesare sul bilancio del Comune, non fosse altro per la previsione dei commi 551 e seguenti della legge di stabilità 2014, che richiedono l'accantonamento a un fondo ad hoc delle perdite delle società partecipate. Se si vuole far sì che la Tari assicuri effettivamente la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio del servizio occorre intervenire sulla norma, risolvendo una volta per tutte il nodo dei crediti insoluti. Il decreto enti locali potrebbe essere l'occasione per mettere ordine nella disciplina che riguarda un settore delicato e importante come quello dei rifiuti.
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