Il decreto legge 54 del 21 maggio 2013, ha sospeso il pagamento dell'Imu per le abitazioni principali e relative pertinenze, esclusi i fabbricati di categoria A/1, A/8 e A/9, per le unità immobiliari delle cooperative a proprietà indivisa e degli istituti autonomi case popolari e enti similari, per i terreni agricoli e per i fabbricati rurali.La sospensione è una scelta transitoria e impone l'obbligo di assumere decisioni definitive entro il 31 agosto 2013, ma in primo luogo è necessario arrivare a una riforma complessiva, indicando con chiarezza tempi realistici e fonti di finanziamento. Una riforma seria dell'Imu dovrebbe porsi pochi obiettivi raggiungibili, comprensibili e applicabili con semplicità, evitando di porsi obiettivi troppo ambiziosi che renderebbero impossibili le fasi attuative, in tempi così brevi.L'ipotesi di eliminazione dell'Imu e della Tares, con la nascita, peraltro in corso d'anno, di una nuova «Service Tax», è un progetto troppo ambizioso e pieno di ostacoli tecnici e operativi, con il rischio di una profonda confusione sull'individuazione del soggetto passivo, sulla base imponibile, sul concetto di utilizzo, sulla inconciliabilità tra un'imposta patrimoniale e il principio europeo sui rifiuti «paghi in base a quanto inquini».La scelta della «Service Tax» è già stata abbandonata negli anni passati e la sua replica, lascia trasparire un eccesso di sottovalutazione delle problematiche tecniche ed operative da parte di coloro che ne alimentano l'introduzione, senza alcuna reale consapevolezza delle difficoltà applicative.In questo quadro i comuni italiani come possono deliberare aliquote Imu e tariffe Tares, senza conoscere se i loro tributi saranno confermati o eliminati, come si pensa che i contribuenti interpretino questa ondivaga volontà del governo rispetto alla prossima scadenza di giugno, quali gettiti saranno credibilmente incassati in assenza di regole certe sulla Tares, quali sicurezze vi sono sulla conferma dell'attività di riscossione coattiva per i comuni da parte di Equitalia.Prima di approfondire le possibili scelte della riforma, è necessario, a tutela dei circa 6 mila comuni che riscuotono con Equitalia e a tutela dei livelli occupazionali della stessa società di riscossione pubblica, intervenire con una proroga immediata dell'attività in scadenza il 30 giugno 2013, per dare continuità all'invio dei ruoli per la riscossione coattiva, evitando l'isolamento dei piccoli comuni e il disperdersi di potenziali gettiti comunali. In questo quadro di profonda incertezza della fiscalità locale, la riforma rischia di disattendere aspettative politiche eccessive, prive di coperture, e di produrre difficoltà nei flussi finanziari dei comuni, è quindi necessario riformulare l'attuale struttura dell'Imu e della Tares limitandosi ad apportare correttivi qualitativi e credibili, riducendo le disuguaglianze sociali.In assenza di risorse, non è equo decidere se l'Imu sulla prima casa non di lusso, debba essere pagata o esentata a tutti i contribuenti, a prescindere dal reddito e dalla ricchezza posseduta.Il concetto di abitazione principale, ha necessità di essere distinto tra l'unica casa e la prima casa. Il legislatore tende auniformarele due fattispecie, ma in quella distinzione vi sono spesso storie personali e familiari molto diverse e con capacità patrimoniali e finanziarie non allineate.Esiste quindi la necessità di andare oltre il concetto di tassazione Imu della prima casa, non di lusso, separando la casistica in due fattispecie fiscali diverse:1. unica casa non di lusso,2. prima casa di altre.Trattasi di fabbricati che, al momento, sono sottoposti allo stesso livello di tassazione con identica aliquota, seppure la differenziazione patrimoniale delle due casistiche non sfugge certamente al lettore.Il nuovo decreto legge 54/2013 si è limitato a mantenere la tassazione sulle prime case di lusso, esentando tutte le altre abitazioni principali, ma il minore gettito di circa 4 miliardi di euro che ne deriva, è insostenibile per le casse dei comuni, per questo motivo Legautonomie propone di passare dal concetto di prima casa, al concetto di unica casa non di lusso.Applicare l'esenzione Imu sull'unica casa non di lusso, è una scelta di equità che garantirebbe un risparmio fiscale alle fasce sociali più deboli e maggiormente aggredite dalla crisi economica generale, con un minore gettito che potrebbe essere assorbito utilizzando il principio di progressività sui grandi patrimoni immobiliari, così come richiestoci dall'Unione europea. In carenza di risorse, l'esenzione non può eticamente essere attribuita ai proprietari di una prima casa e di molti altri immobili, l'appiattimento del beneficio rischia di accentuare le disuguaglianze sociali, ponendosi in palese contrasto con il principio dell'art. 53 della Costituzione che recita: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».Una parte significativa della popolazione è proprietaria della propria abitazione:- 17 milioni di famiglie circa sul totale di 23 milioni di famiglie italiane possiedono la prima casa;- 18 milioni di famiglie sono proprietarie di seconda casa, immobili per usi non abitativi propri, immobili in affitto per abitazione e altri usi.Ben diversa appare invece la situazione quando si esamina l'aspetto strettamente legato alla distribuzione del patrimonio immobiliare e della ricchezza, che risulta, al contrario, caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie ne detengono livelli modesti o nulli; all'opposto, poche famiglie dispongono di patrimoni elevati: il 10% delle famiglie italiane detiene circa il 46% della ricchezza complessiva. La riforma dell'Imu deve quindi tendere all'eliminazione dell'imposta per i soli proprietari di un'unica casa non di lusso, ampliando gli spazi di manovra dei comuni sulle aliquote per i grandi patrimoni, per valore o per numero, chiedendo un contributo fiscale più elevato ai più ricchi, a favore della necessaria copertura finanziaria del minore gettito derivante dall'applicazione della suddetta esenzione sull'unica casa posseduta.È inoltre necessario procedere con una semplificazione della tassazione immobiliare, eliminando le molteplici imposte statali che colpiscono fabbricati e terreni (imposta di registro, imposta catastale e ipotecaria, imposta su successioni e donazioni, cedolare secca) accorpandole nell'Imu, al fine di avere un tributo comunale unico sugli immobili. Equità, progressività e semplificazione sono obiettivi credibili, raggiungibili e capaci di ridurre le disuguaglianze, a parità di gettito, evitando il ricorso a improbabili riforme complessive che risultano prive di logica in un contesto temporale così breve.Una riforma complessiva e più ambiziosa della fiscalità immobiliare, non deve infatti partire dalla rimodulazione dell'Imu, ma dalla emanazione di un Testo unico sui tributi locali, che raccolga tutte le norme di riferimento e dalla profonda e efficace revisione del catasto affinché le rendite catastali diventino credibili ed esprimano il concreto valore dei patrimoni immobiliari, evitando medie e appiattimenti che penalizzano i più deboli.Per capire quanto le rendite catastali siano distanti dalla realtà, è infatti sufficiente visionare i dati dell'osservatorio del mercato immobiliare, forniti da altro ufficio della stessa Agenzia del territorio.L'Imu è anche un metodo di redistribuzione finanziaria delle risorse, attraverso un parziale e modesto trasferimento monetario di riequilibrio sociale.Tutto questo è doveroso ed equo, soltanto se la progressività per le grandi ricchezze e l'esenzione per l'unica abitazione non di lusso, divengono obiettivi di una politica fiscale seria e condivisa, garantendo agli enti locali il diritto di esercitare la propria autonomia fiscale con principi di equità e di semplificazione.*esperto nazionale finanza locale Legautonomiedelle autonomie