Questa è la posizione che hanno assunto vari comuni in Italia, che in alcuni casi non solo non hanno deliberato l'aliquota ridotta che la legge prevede per le abitazioni principali, ma addirittura hanno maggiorato l'aliquota di base (0,76%) come per tutte le altre tipologie di immobili. Continua dunque il braccio di ferro tra amministrazioni locali e aziende di edilizia residenziale pubblica, che dura dai tempi di applicazione dell'Ici, sul trattamento fiscale degli immobili assegnati ai soci, utilizzati come prima casa. In varie parti d'Italia, infatti, è in atto un contenzioso innanzi ai giudici amministrativi, i quali devono pronunciarsi sulla legittimità delle delibere comunali che non hanno riconosciuto per gli immobili posseduti da questi enti l'aliquota agevolata. I benefici fiscali sono limitati solo alla detrazione d'imposta prevista dall'articolo 13 del dl salva Italia (201/2011). Uno dei motivi di contestazione delle scelte comunali è la violazione della norma del decreto Monti, poiché per gli immobili di proprietà delle cooperative adibiti ad abitazione principale dei soci assegnatari ha previsto per il 2012 la rinuncia da parte dello Stato alla propria quota del tributo (0,38%). In realtà, oltre che per gli immobili posseduti dalla cooperative edilizie, è stata espressamente esclusa la riserva statale anche per quelli adibiti ad abitazione principale e per i fabbricati rurali strumentali. Tuttavia, mentre per questi ultimi è stata disposta un'aliquota ridotta, lo stesso beneficio non è stato esteso ai fabbricati delle cooperative. Si tratta di una precisa scelta legislativa, insindacabile, che mostra l'intento del legislatore di non riservare per gli immobili in questione lo stesso trattamento di favore. L'esclusione della quota riservata allo Stato per i fabbricati delle cooperative era legata all'esigenza di assicurare ai comuni un gettito più elevato, lasciando agli stessi il potere, esercitabile anche per altre forme di agevolazione (immobili locati, beni merce delle imprese e così via), di concedere eventuali riduzioni di aliquota, tenuto conto delle loro capacità economico-finanziarie. Con l'introduzione dell'Imu è stata applicata alle abitazioni possedute da Ater e Iacp l'aliquota base ordinaria dello 0,76% per le «seconde case», con facoltà di aumentarla o diminuirla di 3 punti percentuali, anziché quella agevolata dello 0,40%, contemperando il più gravoso regime fiscale con la previsione della detrazione di 200 euro prevista per le abitazioni principali. L'articolo 13 ha lasciato poi ai comuni la facoltà, come già stabilito per l'Ici fino al 2007, di fissare l'aliquota. Solo nel momento in cui è stata eliminata l'imposizione sulla prima casa, le cooperative edilizie sono state esentate dal pagamento del tributo, nel periodo che va dal 2008 al 2011. A partire dal 1992, anno di istituzione dell'imposta comunale, le cooperative edilizie hanno sempre fruito solo della detrazione e non dell'aliquota agevolata. Al riguardo, va però evidenziato che l'atteggiamento del legislatore è un po' schizofrenico, atteso che per l'anno in corso i suddetti immobili rientrano tra quelli che hanno fruito della sospensione del pagamento dell'acconto di giugno, come quelli destinati a «prima casa».È ormai chiaro che soggetto passivo d'imposta per gli immobili assegnati in locazione non sia l'assegnatario ma gli istituti di edilizia residenziale, che non li utilizzano direttamente. Questo comporta che, in mancanza di un'espressa previsione di legge che riconosca l'esenzione, la sospensione o l'aliquota agevolata, non si può operare un raffronto tra il trattamento fiscale riservato ai contribuenti che possiedono unità immobiliari direttamente adibite a abitazione principale, i quali sono soggetti passivi dell'imposta, e quello concesso agli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica che invece non lo sono. Del resto, la Corte costituzionale con varie pronunce (tra le altre, sentenze 113/1996 e 119/1999) ha più volte giudicato non censurabile la scelta del legislatore di non riconoscere l'aliquota agevolata Ici né tantomeno l'esenzione agli Iacp, ex articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 504/1992, considerato il carattere imprenditoriale dell'attività da essi svolta. La Consulta ha sostenuto che un soggetto che trae dagli immobili un'utilità economica, esprime una capacità contributiva maggiore rispetto a quella di un privato cittadino, che invece non ne ricava alcun reddito. Pertanto, non è irragionevole sottoporre i beni a un diverso regime di imposizione.