E' noto che una abolizione totale dell'Imu sulla prima casa avrebbe un costo in termini di mancati incassi di circa 4 miliardi per i comuni. Mantenere l'imposta solo sulle case che ai fini catastali sono giudicate di lusso (categorie A1, A8 e A9) avrebbe un effetto pressoché irrilevante. E cercare di abolire l'imposta sulla prima casa a invarianza di gettito complessivo, aumentando quindi i costi sugli altri immobili, appare ben difficile.I conti sono presto fatti: a Roma nel 2012 sono stati versati due miliardi e 119 milioni di euro, e di questi 565 milioni riferibili alle abitazioni principali. Se di questa somma si facessero carico i proprietari di immobili diversi dalla prima casa l'aggravio medio di imposta sarebbe del 36,4%.A Milano l'incasso totale è stato di 1 miliardo e 63 milioni di euro, con le prime case che hanno contribuito per circa 140 milioni. Se si riversasse questa somma sugli altri immobili l'imposta media salirebbe del 15%. Il guaio è che né nella Capitale né nel capoluogo lombardo possono essere chiamati a pagare (salvo inasprimenti delle aliquote di legge) i proprietari di case tenute a disposizione perché sono già tassati al massimo, all'1,06%.E quindi bisognerebbe operare sugli immobili di impresa (quelli che si dice di voler favorire), sulle case date in locazione (con il rischio di far sparire l'affitto legale) e togliere le agevolazioni agli anziani ricoverati.Anche l'ipotesi di introdurre una franchigia sui primi 600 euro di valore imponibile potrebbe riservare sgradite sorpresa ai proprietari di casa di qualche pregio.Ad esempio a Milano, dove il Comune ha varato per il 2013, in attesa del chiarimento del quadro normativo, l'aliquota dello 0,55% a fronte dello 0,4% dello scorso anno. Chi ha una casa con rendita catastale di 1000 euro (tre locali in una zona residenziale) pagherebbe 324 euro a fronte di 472; con rendite catastali superiori a 1600 euro si finirebbe però per pagare sempre di più rispetto allo scorso anno.