Cioè in una condizione di stabilità politica molto particolare e relativa, quasi di sospensione. Una zona dove regnano i paradossi e dove le presunte certezze tendono a sfumare nel loro contrario. Siamo «ad un passo dall'inversione di rotta e dalla crisi più buia e drammatica che le attuali generazioni abbiano mai vissuto», afferma il Presidente del Consiglio. «Credo che la recessione sia finita», ha aggiunto il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni. Qua e là, in effetti, si moltiplicano i segnali di una ripresa prossima ventura. Il fondo potrebbe essere stato toccato, ora si prospetta la risalita. Però, ecco anche dati - e non segnali - pesanti. A fine giugno, per l'ottavo trimestre consecutivo, cosa mai accaduta, il Prodotto interno lordo (Pil) è andato giù. Due anni di recessione tremenda, di impoverimento profondo del Paese. Per il 2013, l'arretramento già acquisito del Pil è pari a -1,7%, ma già sappiamo che chiuderemo l'anno intorno a -2%, nelle posizioni di coda in Europa e nel mondo. È comprensibile che ogni governo si sforzi di vedere l'ormai famosa "luce in fondo al tunnel". L'Esecutivo d'emergenza Monti iniziò a scorgerla già nel tardo inverno del 2012, ma a settembre aveva ragione l'ad di Fiat Sergio Marchionne quando vedeva avvicinarsi le luci, sì, ma di un treno. Oggi il Governo Letta, che di provvedimenti utili ne ha presi diversi (a cominciare dallo sblocco e dalla velocizzazione dei debiti bloccati della Pa) e che giustamente vuole cogliere l'occasione della prossima legge di Stabilità per "scrivere la politica economica e industriale" dello sviluppo, ha buoni motivi e fondate speranze per "rizollare" (suo il copyright) il campo della ripresa. A patto di guardare in faccia la realtà, che è quella di un Paese stremato che ha perso quote importanti della sua base industriale, è sotto stress fiscale da troppo tempo e dove le imprese e le banche si guardano "a specchio" nei loro difficili bilanci. E a patto di muoversi con decisione per rimuovere (e non solo driblare) gli ostacoli e dar corso senza esitazioni a cambiamenti radicali e innovativi. Un allentamento della politica fiscale "rigorista", per esempio, è addirittura suggerito oggi dal Fondo Monetario alla Germania per contrastare un "periodo di crescita lenta". Dopo la sentenza Mediaset e la condanna definitiva di Silvio Berlusconi ed il conseguente, inevitabile sovraccarico di tensione politica nella maggioranza delle "larghe intese", ha colpito che i mercati di borsa e lo spread con i Bund tedeschi se ne siano praticamente infischiati. Addirittura, lo spread è sceso non poco, tranciando di netto la relazione tra l'acuirsi dell'instabilità politica interna e un rialzo dei tassi d'interesse e riconfermando un paradosso già sperimentato durante l'ultima campagna elettorale e dopo l'esito del voto di febbraio. Sono diverse le possibili spiegazioni, come documentato dal Sole 24 Ore, ma la più solida e condivisa sembra essere quella secondo la quale la rete di sicurezza stesa dalla Bce di Mario Draghi con il piano di acquisto Omt dei titoli di stato ha calmierato le tensioni e rassicurato i mercati. Possiamo dunque immaginare cosa potrebbe accadere se il piano Bce, contestato apertamente dalla Banca centrale tedesca e prossimo oggetto della sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, dovesse essere abbandonato o ridimensionato. Inevitabilmente, sarebbero i Paesi a più alto debito, deboli prospettive di crescita e forte instabilità a tornare nel mirino sul palcoscenico degli spread. L'Italia potrebbe averne tutte le caratteristiche. L'esigenza della stabilità politica, come richiamato ieri da Enrico Letta, resta insomma sullo sfondo. E l'occasione per verificarne fino in fondo la sua reale tenuta e portata sta per arrivare, visto che è stata confermata la data-limite del 31 agosto. Parliamo, dopo lo stop del pagamento della rata del 17 giugno, dell'Imu-prima casa, tassa per la quale il premier, nel bilancio dei "cento giorni", indica l'obiettivo di "riformare la tassazione". Ma riforma non significa abolizione della tassa, condizione fin qui ritenuta irrinunciabile dal Pdl, e su questo terreno si gioca, numeri e accordi alla mano, la partita decisiva del Governo.