Ad accendere la polemica è il voto contrario a una risoluzione targata Nuovo Centrodestra che chiedeva di abolire del tutto l'imposta: «Il Pd ha gettato la maschera - commenta una nota firmata dall'ex ministro dell'Agricoltura Nunzia De Girolamo, capogruppo Area popolare (Ncd-Udc) alla Camera, da Alessandro Pagano, della commissione Finanze, e da Nino Bosco, della commissione Agricoltura.
Sullo stop alle aliquote, la coesione nella maggioranza è invece stata ovviamente totale. Da risolvere c'era il problema dell'impennata del carico fiscale che il rinvio al 2016 della «tassa locale», e la conseguente conferma per l'anno prossimo della strana coppia formata da Imu e Tasi, avrebbero determinato sulle abitazioni principali. Quest'anno, infatti, le richieste comunali non hanno potuto superare il 2,5 per mille, oppure il 3,3 per mille per finanziare detrazioni, ma dal 2015 sarebbero entrati in vigore i tetti "ordinari" che avrebbero potuto portare il conto Tasi fino al 6 per mille, anche senza detrazioni. Il correttivo approvato ieri, destinato al maxi-emendamento sui cui Palazzo Madama sarà chiamato a votare la fiducia, conferma invece il quadro attuale anche per il 2015. In questo modo si impedisce alla Tasi di raddoppiare abbondantemente il proprio peso, ma certo non si risolvono tutti i problemi, a partire da quello delle detrazioni. L'esperienza del 2014, appena conclusa con il saldo versato entro martedì scorso, mostra infatti che le detrazioni sono state trascurate da due Comuni su tre, e anche quando sono state introdotte non hanno assorbito l'intero gettito dell'aliquota aggiuntiva dello 0,8 per mille nata per finanziarle.
Non solo: i tetti di aliquota 2014 sono stati accompagnati da un fondo di 625 milioni, distribuito fra 1.800 Comuni (tra i quali quasi tutte le grandi città, Milano in testa), per aiutare gli enti a chiudere i conti nonostante la Tasi "limitata". Ripetere l'esperienza 2015 senza aiuti ai Comuni, dunque, significherebbe assestare un taglio-ombra al 20% dei Comuni, prospettiva che il Governo vuole evitare: la strada scelta potrebbe essere quella di ricavare un nuovo fondo dalla «quota erariale» dell'Imu, cioè dagli oltre quattro miliardi di euro che capannoni, alberghi e centri commerciali versano allo Stato a titolo di imposta «municipale». La riduzione di questa quota, però, non potrà essere lineare, perché in questo modo si finirebbe per aiutare Comuni che non ne hanno bisogno aprendo nel frattempo buchi di entrata in quelli più in difficoltà, per cui il fondo dovrà essere distribuito con criteri analoghi a quelli del 2014. Criteri che tuttavia, val la pena ricordarlo, hanno alimentato la polemica fra sindaci, perché l'aiuto statale è servito a compensare i Comuni dove l'Imu era cresciuta di più, e si è quindi tradotto in un "premio" ex post a chi aveva alzato le aliquote.
I travagli dell'Imu, insomma, non finiscono mai, e la conferma arriva dalla nuova querelle sull'imposta a carico dei terreni ex montani. Il Governo ha rinviato il pagamento al 26 gennaio, con il decreto confluito nella legge di stabilità, e ha avviato i tavoli tecnici per trovare nuovi criteri, più razionali di quello che limita le esenzioni sulla base dell'«altitudine al centro» dei Comuni. In Parlamento però sono molti, e non solo nel Nuovo Centrodestra ma anche nel Pd, a spingere per l'abolizione del pagamento rinviato, ma ieri la risoluzione Ncd è stata respinta. Al momento il problema è oggetto più di scontro politico che di attenzione tecnica, ma per la soluzione il tempo stringe.