Da misura a carattere di emergenza, necessaria per ristabilire equilibrio nei conti pubblici, nei mesi si è consolidata in intervento strutturale che inevitabilmente ha contribuito a generare recessione, in generale, ed effetti depressivi sulle famiglie italiane. L'Imu ha colpito anche le attività produttive e no profit del Paese, aggravando ingiustamente e incomprensibilmente gli attori principali dello sviluppo economico e della solidarietà sociale. L'Imposta municipale unica non poteva che appesantire il sistema immobiliare italiano, costituito per l'80% dal comparto residenziale, inserendosi in un contesto di crisi e in presenza di un progressivo irrigidimento del sistema bancario. Oggi, di fatto, quello che dovrebbe essere uno dei motori economici del Paese si trova paralizzato e, per questo motivo, ha l'improcrastinabile necessità di essere supportato. È giunto il momento di mettere in moto tutti i processi possibili per dare risposte concrete alla crescente domanda abitativa degli italiani. Una rinnovata politica della casa e dello sviluppo immobiliare deve saper guardare a tutte le esigenze e a tutte le fasce sociali: dalle residenze in affitto a quelle in acquisto, dallo sviluppo di interventi di housing sociale alla realizzazione di immobili di pregio. Per troppo tempo l'Italia non ha più avuto una strategia sulla casa, tema demandato alle Regioni, che colpite dal taglio dei trasferimenti non hanno la capacità di spesa per avviare iniziative solide. È necessario incentivare la ripresa del settore immobiliare, favorendo il ruolo di SIIQ e fondi quali strumenti per attrarre investimenti non solo sul residenziale, ma in tutti i comparti del real estate: dalla valorizzazione del sistema turistico fino alle infrastrutture. Bisogna avere la forza e il coraggio per guardare al nocciolo della questione: ridurre i costi dello Stato in maniera strutturale. Ritengo giusto che i più ricchi debbano partecipare alla riduzione del debito pubblico e in questo senso è possibile definire una partecipazione attiva della classe medio-alta, quella che dispone di ingenti patrimoni mobiliari e finanziari. La condizione, però, è che si tratti di un'innovativa forma di patrimoniale della durata ben definita (magari sotto forma di sottoscrizione di bond), strettamente legata a un progetto di rilancio dell'Italia che passi da precise riforme: privatizzazione di società e partecipazioni pubbliche, sburocratizzazione per cittadini e imprese, profondo snellimento dello Stato. I «ricchi» potrebbero così sostenere il risanamento della «Famiglia Italia» a patto che si rimetta tutto in ordine. Serve un processo virtuoso, ricalcato anche nell'introduzione della nuova service tax secondo lo schema del «pago-vedo-voto» illustrato dal presidente del Consiglio, Enrico Letta, che richiamerà a una maggiore responsabilità le amministrazioni comunali, soggette a una valutazione più critica e trasparente da parte della comunità. In caso contrario, patrimoniali fini a se stesse, slegate da una visione di sviluppo, non possono far altro che innescare recessione e delocalizzazioni di attività imprenditoriali all'estero, come accaduto negli ultimi anni. Chi non accetta un ragionamento propositivo, rigettando e polemizzando a prescindere ogni proposta costruttiva per lo sviluppo, è mosso da logiche negative che immobilizzano il nostro Paese. Il comportamento scettico e aprioristicamente contrario come quello che abbiamo da più parti registrato in questi giorni di dibattito sull'Imu rappresenta una malattia, classica dei bambini che dicono sempre «no», dalla quale un Paese adulto ha il dovere di guarire.