l'udienza collegiale chiamata a confermare o meno lo stop è in calendario infatti per il 21 gennaio, cioè cinque giorni prima (due soli lavorativi) della nuova scadenza per i pagamenti ora fissata per il 26 gennaio.
Non è difficile, però, ipotizzare che anche in quella sede i giudici amministrativi confermeranno la sospensione, prodotta da un ricorso presentato da quattro associazioni regionali dei Comuni (Anci Abruzzo, Liguria, Umbria e Veneto). Questa almeno è l'impressione che si ricava quando si legge il decreto 6651/2014 firmato dal presidente del Tar. Filoreto D'Agostino. Il decreto di Economia, Finanze e Politiche agricole che ha tracciato i nuovi confini dell'Imu sui terreni ex montani sulla base dell'altitudine dei Comuni, scrive infatti D'Agostino, «determina eccezionale e grave pregiudizio per l'assoluta incertezza dei criteri applicativi» , ed è inoltre arrivato troppo tardi per rispettare le regole di finanza pubblica senza generare «effetti gravi» sui bilanci dei Comuni.
Le obiezioni del Tar, insomma, puntano sia al merito sia al metodo del provvedimento, travagliato sin dall'inizio dalle critiche arrivate paradossalmente anche dall'interno dello stesso Governo, che infatti aveva promesso una revisione dei parametri. Il decreto presidenziale, prima di tutto, contesta il meccanismo di fondo del decreto, che disciplina l'applicazione dell'Imu sulla base dell'altitudine registrata al centro del Comune: l'esenzione totale viene prevista solo negli enti con «altitudine al centro» superiore a 600 metri, è limitata a imprenditori agricoli e coltivatori diretti se il dato si attesta fra 281 e 600 metri mentre tutti devono pagare se il Comune è sotto i 281 metri. In questo modo, sottolinea il Tar, «può essere assoggettato a imposizione un terreno posto a più di 600 metri in agro di Comune posto notevolmente al di sotto di tale altezza», perché ovviamente i terreni agricoli possono essere anche parecchio lontani dalla piazza del Municipio.
Anche il calendario, però, secondo i giudici amministrativi solleva molti problemi, a cominciare dalla «palese violazione delle norme poste a tutela del contribuente in materia di irretroattività e di spazio temporale minimo per l'attivazione di adempimenti relativi a provvedimenti impositivi». Il provvedimento taglia 359,5 milioni a oltre 4mila Comuni in cambio del maggior gettito Imu che dovrebbe arrivare nelle loro casse grazie al cambio delle regole, ma è spuntato a fine novembre per essere pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» solo il 6 dicembre, quando ormai «gli impegni finanziari da parte dei comuni sono stati assunti con effetti gravi sul pareggio di bilancio tali da ingenerare, in alcuni casi, una procedura finalizzata alla declaratoria di dissesto, e, comunque, con pesanti conseguenze sulla erogazione dei servizi alla comunità di riferimento». Proprio per attenuare il problema determinato da un taglio effettivo in cambio di nuovi incassi tutti da cercare nel quadro del caos normativo che si è venuto a determinare, il Governo ha approvato il rinvio dei termini di pagamento al 26 gennaio nel decreto confluito nella legge di stabilità, permettendo ai Comuni di effettuare un «accertamento convenzionale» dell'Imu da chiedere ai proprietari ex esenti.
La pezza, però, per il Tar non ha migliorato la situazione, dal momento che questa operazione, che pure ha dei precedenti, è inevitabilmente lontana dalla realtà («forzatamente non fedele ai non conosciuti dati reali» secondo il linguaggio dei giudici amministrativi).
Che accade ora? La revisione dei criteri promessa dal Governo è ora inevitabile, ma in ogni caso occorrerà trovare i 359 milioni tagliati ai Comuni perché l'ipotesi di incassarli davvero entro gennaio, termine ultimo per l'accertamento convenzionale, pare ormai impossibile: una grana quasi impossibile da risolvere, a pochi giorni dalla fine dell'anno.